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Il dilemma di Draghi (e del centro) secondo Pomicino

“Draghi sta facendo cose che hanno il sapore del buon senso, ma non legate al mettersi o al togliersi la mascherina. Bensì ai dati degli scienziati”. Conversazione con l’ex democristiano Paolo Cirino Pomicino su Draghi e le forze politiche italiane. Meloni? Si è spostata al centro. Letta? “Se il Pd incarna la sinistra allora io sono Che Guevara”

Mario Draghi sta facendo cose di centro che hanno il sapore del buon senso, ma non legate al mettersi o al togliersi la mascherina bensì ai dati degli scienziati. Perché il centro, che da solo è un punto geometrico, è quello che non è innervato da una ideologia perché per primo si avverte il buon senso delle cose”.

Lo dice a Formiche.net Paolo Cirino Pomicino, storico esponente della Dc, che punta il dito contro chi ha affossato in Italia le culture politiche presenti, invece, nel resto d’Europa. Il premier è atteso ad un bivio dal momento che all’Italia manca un contenitore di centro. “Sotto i nostri occhi c’è un Parlamento che, dopo tre anni di legislatura, ha fatto tre governi dove nessun membro del Parlamento stesso è stato in grado di essere premier”. E al Pd non le manda a dire.

Angelo Panebianco sul Corriere della Sera di oggi ha aperto un dibattito sul centro e sul ruolo di Mario Draghi nella futura ricomposizione politica. Di fatto la Lega si è spostata al centro per essere in maggioranza e anche il M5S per farsi forza di governo ha abbandonato le ali. Che ne pensa?

La modernità della Seconda Repubblica è solo fuffa e c’è stato un buco al centro che ha determinato i guai sotto gli occhi di tutti: Panebianco ci ha messo 27 anni a capirlo. Gli intellettuali italiani, in larga parte, sono complici assieme ai media nell’aver accettato un sistema politico che aveva resettato ed eliminato tutte le culture politiche che governano gli Stati membri dell’Ue. Nessuno si è posto la domanda “come mai le grandi democrazie europee sono governate da popolari, socialisti verdi o liberali, da soli o in coalizione, mentre in Italia ci sono partiti personali privi di cultura politica?”. Lo dimostra il fatto che il M5S, partito di maggioranza relativa in Parlamento, in Europa non riesce neanche ad accasarsi.

Per cui?

C’è evidentemente una domanda di politica, che inizialmente non appariva in quanto travolta dalla rabbia di chi si sentiva dire che il Paese era stato governato per 40 anni da mafiosi e corrotti. Col tempo gli elettori hanno capito, ma si sono trovati improvvisamente in un sistema politico che non solo non aveva il centro, ma neanche la destra e la sinistra. Se il Pd incarna la sinistra allora io sono Che Guevara.

Perché Draghi e la sua politica appaiono di centro dunque?

Perché il centro, che da solo è un punto geometrico, è culturalmente legato al partito popolare o conservatore di tipo inglese. Il centro politico non è innervato da una ideologia ma dal buon senso. Draghi sta facendo cose che hanno il sapore del buon senso, non polemizza sulle mascherine ma si fa guidare dai dati degli scienziati. Porta inoltre avanti una campagna vaccinale non affidandosi ad un manager come Arcuri che aveva una professionalità diversa, ma mobilita i corpi dello Stato come Esercito e Protezione Civile come avviene altrove in ogni emergenza. Infine, ha messo a punto un Recovery Plan attento sia alle infrastrutture che all’innovazione, con il digitale e la rigenerazione urbana. Tutte cose che i partiti in 27 anni non hanno saputo fare.

Di chi la responsabilità?

La dimostrazione di ciò che dico si trova in quei giornali che più hanno sponsorizzato l’attuale deserto politico e che oggi fanno ciò che facevano i partiti nella Prima Repubblica: produrre idee, organizzare seminari, studiare i dossier. I partiti oggi non fanno più né convegni né riflessioni, non hanno più gli organismi preposti allo studio. Oggi ci troviamo dinanzi alla più totale desertificazione del sistema politico, con partiti che non hanno alcun omologo negli altri Paesi europei. Il reclutamento della classe dirigente avviene sulla base della cortigianeria e non con una selezione darwiniana affidata agli elettori. Sotto i nostri occhi c’è un Parlamento che, dopo tre anni di legislatura, ha fatto tre governi nei quali nessun membro del Parlamento stesso è stato ritenuto in grado di diventare premier.

Quale il nodo?

La vera competenza che oggi manca, e che sfugge a Panebianco, non è quella settoriale ma quella politica. Ovvero la capacità di avvertire i bisogni della gente e trasformarli in risposte politicamente sostenibili, con l’aiuto dei tecnici di settore. Una competenza che oggi non c’è più e che non ha forse nemmeno Draghi che, per il momento, sta bene affrontando le due emergenze per cui è stato chiamato.

Con quale rischio?

Draghi è un uomo di Stato ed è consapevole che le élite professionali o di progetto potrebbero essere sostituite da quelle economico/finanziarie. Con queste ultime c’è il rischio della scomparsa dei grandi bisogni delle masse popolari. Cito sul punto la mancanza di un leader di partito o di un uomo di governo che oggi si ponga il problema di affrontare l’egemonia del capitalismo finanziario, che è fonte di disuguaglianze tra le nazioni e dentro le nazioni. Per il momento il buon senso di Draghi appare come una politica di centro, ed è un fatto positivo per il Paese. In Italia abbiamo inventato il popolarismo ed è strano che oggi non ve ne sia più traccia, dopo quel disegno politico dei primi anni Novanta che ha resettato tutte le culture. Crollato il comunismo, allora, doveva essere annullato anche tutto il resto.

Riguardo alla situazione nel centrodestra si parla sempre della trasformazione in “destracentro” per raccontare i sondaggi, ma non dei contenuti. Stando ai numeri le posizioni di FdI premiano il partito di Giorgia Meloni e quelle più moderate della Lega fanno calare i padani. È così?

Non credo a questo schema. La Lega di Matteo Salvini non si è spostata al centro, al contrario penso che vada sempre più a destra, come dimostra la ricerca di collegamenti in Europa con partiti espulsi dal Ppe. Paradossalmente è FdI che ha fatto passi culturali in avanti verso il centro, perché Giorgia Meloni, rispetto a Salvini, non fa più polemiche strumentali ma argomenta. L’opportunità avuta da FI di essere iscritta al Ppe inoltre è stata sciupata, perché Berlusconi ha tenuto in pista un partito personale, mentre il popolarismo tutto può sopportare tranne che non vi sia una democrazia interna ed una leadership contendibile. La grande crisi italiana non è a destra però.

E dove?

Nel Pd che sarebbe dovuto essere, in quanto erede di due grandi culture, l’architrave del sistema politico italiano. Nel 2001 Margherita e Ds avevano insieme il 33%, oggi dopo la loro unione solo il 20%. La politica con il tempo non perdona. Il Pd oggi non sa chi è: né comunista, né socialista, né socialdemocratico né popolare. Nonostante l’attuale segretario provenga dal centro, mi chiedo come mai sia stato investito di quel ruolo pur essendo membro della Trilateral, una autorevole e seria associazione di stampo finanziario. Ricordo che Giulio Andreotti raccontava di essere stato più volte invitato da Rothschild a farne parte, ma declinò sempre perché convinto che la politica dovesse restare su un altro piano rispetto alla finanza.

50 anni fa, nel 1971, le elezioni amministrative fecero registrare uno spostamento di voti a vantaggio dell’MSI, e nelle presidenziali fu eletto Presidente della Repubblica Giovanni Leone, con i voti determinanti dei monarchici. L’anno dopo Leone sciolse le Camere per le prime elezioni anticipate della storia della Repubblica e la Dc portò a casa il voto cattolico contenendo gli estremi. Che lezione trarre per oggi?

Che ci manca un partito di centro, Monti ci ha provato ma senza risultati. Penso che ognuno dovrebbe esercitare il proprio talento. Abbiamo certamente un leader, come Draghi, che fa le politiche di buon senso ma che in prospettiva dal Colle non potrebbe fare altro che la moral suasion visto il nostro attuale sistema costituzionale. Certamente potrebbe stimolare un processo di revisione costituzionale: una soluzione presidenziale insomma visto il nanismo politico attuale dei partiti. L’ex primo ministro francese Georges Eugène Benjamin Clemenceau diceva sempre: “La guerra è una cosa troppo seria per affidarla a dei militari”. Penso la stessa cosa a proposito della economia e delle sue distorsioni a cominciare dal capitalismo finanziario: l’economia è una cosa troppo seria per affidarla solo agli economisti. È quella la confusione culturale fatta da intellettuali e media. Adenauer, Kohl e Andreotti che competenza professionale avevano? Nessuna tecnica, ma grandissima competenza politica. Quella che manca oggi.

twitter@FDepalo

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