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Draghi corre, i partiti inseguono. Chi arriva ultimo? Parla Martelli

Intervista all’ex Guardasigilli socialista e direttore dell’Avanti!: Draghi va veloce, i partiti inseguono e hanno il fiatone. Non solo Conte e Salvini, anche il Pd di Letta arranca, troppo preso dal parassitismo verso i Cinque Stelle. Giustizia? Chi vuole far saltare il governo e tornare al Conte-bis alzi la mano

Una partita in differita, peraltro poco avvincente. Legge così Claudio Martelli, già ministro della Giustizia e colonna del Psi, direttore dell’Avanti!, il brusio delle forze politiche al governo contro il piglio decisionista di Mario Draghi, che in un solo Cdm ha sbrigliato i due nodi più intricati, la riforma Cartabia e l’obbligo del Green pass. “Il premier va più veloce, i partiti lo inseguono”. Qualcuno più lento degli altri.

Il metodo Draghi produce effetti.

Suvvia, qui siamo oltre il metodo. Draghi è un decisionista per natura e, come diceva Craxi, decidere è garantire. Semmai il premier rifiuta un altro metodo.

Quale?

Il rinvio come sistema, come unica strategia per uscire dalle difficoltà immediate per proiettarle in un futuro indefinito.

Sta pensando a Giuseppe Conte?

Non solo Conte, anche Salvini è un campione olimpionico. Un po’ per non scontentare nessuno, un po’ perché ha paura della Meloni, è sempre pronto a danzare tra gli opposti. O non conclude, o conclude per il peggio. Difesa sempre legittima, blocchi navali contro i migranti, quota 100. Devo farle tutta la lista?

No, ricevuto, torniamo a Draghi. I partiti sembrano attori non protagonisti.

I partiti, chi più chi meno, arrivano sempre in ritardo. Non hanno capito la novità di un capo del governo che gode di un prestigio personale e conta su una maggioranza talmente ampia da poter sopportare strappi dell’una o l’altra ala.

Chi lo soffre di più?

Tutte le forze politiche hanno incassato il colpo. I Cinque Stelle sono lacerati, il centrodestra anche.

Il Pd?

Ecco, il Pd è l’emblema di quella lentezza di cui parlavo. Lo dico con dispiacere, mi creda, perché fra le sue fila c’è tanta gente valida. È un partito in differita, che discute troppo poco ed è malato di una sindrome ormai diffusa nella sinistra italiana.

Sarebbe?

Il parassitismo, una malattia scoppiata con il fallimento del comunismo in Italia. I post-comunisti hanno rinunciato alla vocazione maggioritaria, ad avere un’ideologia, una strategia. Il risultato è una sinistra che cerca continuamente di stringere alleanze per compensare la sua minorità.

Sì, ma è pur sempre al 19%.

Da quanto tempo? Tanto, troppo. Torniamo a tre anni fa, alle elezioni del 2018, al trionfo dei nazionalpopulisti con Lega, Cinque Stelle e Fdi complessivamente al 54%. Tre anni dopo la somma dei consensi non è cambiata. Il Pd galleggia, si arrabatta con alleanze di convenienza e non riesce a strappare un solo voto al centrodestra. E infatti sa cosa succede?

Cosa?

I voti si muovono solo a destra, anzi verso destra. Chi votava Cinque Stelle ora guarda alla Lega, chi votava Lega ora guarda alla Meloni.

Non le chiedo cosa pensa dell’alleanza organica fra il Pd e il Movimento…

Le rispondo citando D’Alema, che si chiedeva e si chiede ancora: come si fa a non giudicare di sinistra una forza che al Sud ha conquistato la maggioranza assoluta dei voti con il reddito di cittadinanza e la lotta alla diseguaglianza? Si fa osservando che la metà di quei voti è andata prima a Salvini e poi alla Meloni. Due campioni della sinistra italiana.

Letta lo ha capito?

Letta è troppo impegnato in iniziative pretestuose, fughe dalla realtà. Le tasse ai ricchi per far la dote ai diciottenni, il voto ai sedicenni. Il rifiuto ostinato di discutere civilmente di qualche errore contenuto in una buona legge, il ddl Zan. L’inseguimento senza tregua dei Cinque Stelle.

Un consiglio non richiesto al segretario?

Lasci perdere i rimpianti per il Conte-due e le passeggiate nel nulla. Riconosca la leadership di Draghi, muova il partito in quel solco, sostenendo il governo e avanzando proposte più coraggiose quando è necessario. Affronti le conseguenze del taglio dei parlamentari, senza acclamare il voto dei diciottenni al Senato, ma prendendo atto che due camere ormai identiche non servono a nulla. È tempo di un Parlamento unico, di fondere insieme Camera e Senato.

Non possiamo proprio glissare sulla riforma della Giustizia. Con i Cinque Stelle è un cessate-il-fuoco o una vera tregua?

Mi sembra un dibattito superato, Draghi ha messo la questione di fiducia. Se i gruppi parlamentari vorranno fargli la guerra se ne assumeranno la responsabilità.

Ma il Movimento non è l’unico in trincea. C’è anche il Csm, l’Anm, insomma le toghe.

Il discrimine è molto chiaro, tutto il resto sono chiacchiere. Qui c’è un limite costituzionale invalicabile: la ragionevole durata dei processi. Un principio che deve trovare un’applicazione nell’improcedibilità. Si è trovato un accordo unanime in Cdm su questi presupposti. Se qualcuno vuole rinnegarlo, o come Conte lo ritiene “inaccettabile”, voterà contro la fiducia al governo.

Fra dieci giorni inizia il semestre bianco. C’è da aspettarsi un assalto alla diligenza?

Non vedo le condizioni, né una sola buona ragione. Parliamoci chiaro: Draghi ci ha salvato una volta con il whatever it takes, ci ha salvato di nuovo accettando la responsabilità di governare dopo il fallimento di Conte con la lunga agonia del suo governo e un Recovery plan arenato. Chi vuole tornare indietro alzi la mano.

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