Dallo scorso marzo la vigilanza europea sui mercati è senza presidente e se non fosse per l’interim della finlandese Tuominen l’authority sarebbe paralizzata. La Germania punta su Verena Ross, l’Italia si gioca la carta Di Noia. Ma il compromesso è lontano. E i media tedeschi se la prendono con Draghi…
Stallo, a oltranza. Mentre l’Europa si prepara a erogare la prima tranche del Recovery Fund (c’è anche il bollino finale dell’Ecofin), sull’Esma, la vigilanza sui mercati europea, è buio pesto. Da mesi la poltrona di presidente è vacante e se non fosse per la finlandese Anneli Tuominen, classe 1954, in questi mesi sarebbe stata a rischio l’operatività dell’istituzione. Eppure, un candidato forte c’è ed è italiano: Carmine Di Noia, commissario Consob con un passato tra le prime di linee di Assonime e da consigliere di amministrazione di Borsa Italiana.
CACCIA GROSSA AL PRESIDENTE
Eppure non basta, perché Di Noia non è l’unico candidato. Anche la Germania ha infatti il suo asso da calare, Verena Ross, direttrice esecutiva uscente dell’Esma, al cui posto è stata indicata la francese Natasha Cazenave. Il problema è che senza un compromesso dal cilindro non può uscire il nome del prossimo presidente dell’Esma. E pensare che la presidenza tedesca dell’Ue, scaduta a fine 2020, aveva cercato invano di chiudere il dossier in tempo, puntando tutto su Verena Ross, da 10 anni direttore generale dell’Esma con doppia cittadinanza, britannica e tedesca. Un appoggio che ne aveva fatto la candidata da battere, ma la Brexit, i veti incrociati e perché no, la pandemia, hanno congelato il processo. A dire il vero ci sarebbe in corsa anche l’ex ministra delle Finanze portoghese, Maria Luís Albuquerque. Ma la competizione sembra essere a due, Ross-Di Noia. Un derby.
LA CARTA ITALIANA
La posta in gioco è alta. C’è il ruolo futuro dell’Esma dopo la Brexit, con l’emancipazione del mercato continentale dall’influenza della City di Londra, e con l’eventuale rafforzamento federale dei poteri di vigilanza dell’Authority su tutti gli attori del mercato dei capitali dell’Ue. L’Italia e la maggioranza degli altri Stati membri appoggiano il candidato italiano, arrivato primo nella shortlist decisa nel novembre 2020 dal Selection Board della stessa Esma sulla base delle qualifiche professionali, competenze ed esperienza. Una cosa è certa, il tempo stringe.
CORSA CONTRO IL TEMPO
Il mandato del presidente uscente, l’olandese Steven Majoor, è infatti scaduto il 31 marzo scorso, senza possibilità di un nuovo rinnovo perché si trattava di un secondo mandato di cinque anni. Il posto è dunque già vacante da più di tre mesi. Per questa ragione la presidente ad interim Tuominen, secondo quanto riportato dal quotidiano Handelsblatt, ha scritto ad Andrej Sircelj, ministro delle Finanze della Slovenia, Paese che ha la presidenza di turno dell’Unione, sollecitando la conclusione della procedura. Nella missiva, Tuominen chiede una rapida decisione sul successore di Maijoor, dimessosi da presidente dell’Esma a marzo scorso per sopraggiunti limiti di mandato.
COLPA DI DRAGHI (DICONO I TEDESCHI)
I tedeschi comunque sono nervosi, un po’ come la stessa Tuominen. Nei giorni scorsi la stampa tedesca ha attaccato frontalmente il governo italiano, a cominciare dalla Faz, imputando i ritardi nella nomina del successore di Maijoor alla guida dell’Esma a un presunto ostruzionismo del governo italiano e del premier Mario Draghi. Posizione ribadita dall’europarlamentare della Csu (i cristiano sociali bavaresi), Markus Ferber, pronto a chiedere a Roma uno “spirito europeista” e una maggiore “volontà di raggiungere un compromesso”.
IL FATTORE DONNA
Attenzione, non è finita. Perché, come raccontato da Politico.eu, le deputate al Parlamento Ue starebbero scalpitando per imporre al vertice dell’Esma proprio una figura femminile. “Le donne dirigono solo 10 delle 37 istituzioni dell’Ue”, ha scritto l’eurodeputata Evelyn Regner, presidente della commissione per i diritti della donna e l’uguaglianza di genere, in una lettera indirizzata alla presidenza del Consiglio slovena.
Quella di Regner è solo l’ultima voce di un coro crescente di voci che chiedono un compromesso finale presso il Consiglio europeo che sblocchi l’impasse. Perché, dicono all’Europarlamento, non ci sono ragioni formali per non tenere una votazione sui candidati.