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Se l’esplosione del porto di Dubai riaccende la solidarietà saudita

Dopo giorni di tensioni dovute a visioni diverse nell’ambito dell’Opec+, il tragico evento ha riacceso la solidarietà saudita verso i vicini emiratini e riproposto l’importanza dell’alleanza strategica tra i due Paesi

Una forte esplosione ha scosso la notte del 7 luglio la città di Dubai, interessando una nave petroliera ancorata al porto di Jebel Ali. In seguito all’esplosione, un incendio è divampato in un container all’interno della nave e diverse squadre della protezione civile dell’Emirato sono intervenute per domare le fiamme che hanno interessato anche la banchina del porto. Il video delle fiamme ha fatto il giro del mondo tramite i social media e ha fatto riesplodere la solidarietà della società civile saudita nei confronti dei vicini emiratini in un momento di tensioni dovuti alla politica in campo petrolifero adottata dai due Paesi.

Due giorni prima infatti, a Vienna dove si è svolta la riunione dell’Opec+, il cartello dei principali produttori di greggio allargato alla Russia, non si è arrivati ad alcun accordo sull’aumento della produzione di greggio, vanificando così le richieste di chi vuole sostenere la ripresa del dopo pandemia. Il mancato accordo è causato dalle resistenze degli Emirati, produttore emergente del cartello, di rinviare di 8 mesi la revisione della politica dei tagli e non accettare un aumento limitato a soli 400 mila barili al giorno tra agosto e dicembre. Abu Dhabi ha chiesto di rivedere il meccanismo con cui i singoli paesi di Opec+ contribuiscono ai tagli, ottenendo un rifiuto da parte di altri membri dell’organizzazione, a cominciare dall’Arabia Saudita, il primo produttore al mondo.

Questa situazione ha consentito ai media che guardano con ostilità all’alleanza tra questi due paesi in chiave regionale, da quelli iraniani in lingua araba come la Tv “al-Alam” a quelli qatarioti, di avviare una campagna stampa che sottolineava le divisioni tra Riad e Abu Dhabi. Come ha spiegato un editoriale dell’agenzia di stampa emiratina al-Ain, in questi frangenti “c’è chi pesca nel torbido ma i sauditi e gli emirati hanno tagliato loro la strada”, mettendo fine ad una campagna d’odio.

Il riferimento è al fatto che, dopo l’incidente del porto di Dubai, una miriade di tweet di auguri ed espressioni di solidarietà si sono susseguiti sul social network. Il tutto è avvenuto nell’arco dei 40 minuti nei quali la Protezione Civile emiratina è riuscita a controllare l’incendio della nave a Jebel Ali. Dopo un’ora sui social gli attivisti saudita celebravano “le mani eroiche degli operatori emiratini” intervenuti nel porto sottolineando la rapidità dell’intervento della messa in sicurezza del porto.

Il primo è stato il principe saudita, Sattam bin Khalid Al Saud, il quale ha subito twittato: “Possa Dio proteggere il nostro paese, gli Emirati, i suoi governanti e il suo popolo da tutto il male… Salam Dubai”. Da lì è nato un hashtag che è subito diventato un trend, “Salam Dubai”. Anche il giornalista saudita, Bandar Atif, ha twittato: “Auguriamo la pace e la tranquillità negli #UAE. Che vada tutti bene ai nostri fratelli degli Emirati Arabi Uniti… Possa Dio proteggerli da ogni male”. È intervenuto poi il capo della General Entertainment Authority saudita, nata nell’ambito della Vision 2030, Turki Al-Sheikh, il quale si è unito alla solidarietà scrivendo: “È capitato qualcosa di brutto alla mia gente degli Emirati, che Dio protegga il suo Paese e la sua brava gente”. Poi è intervenuto il noto attivista saudita, Abdullah Al-Bandar, che ha sottolineato la velocità con cui è stato domato l’incendio. Si è detto infine colpito dalla solidarietà giunta dal vicino Regno saudita, il predicatore degli Emirati, Ahmed Musa, che ha scritto: “I tweet e l’interazione dei nostri fratelli dell’amato Regno sull’incidente dell’incendio a #Jebel_Ali indicano la bontà della loro origine e la loro purezza e che siamo tutti sulla stessa barca”.

Dopo questa vicenda, i commentatori di entrambi i Paesi hanno iniziato a parlare dei tanti temi che invece accomunano i due alleati del Golfo: dall’interferenza dell’Iran nella regione, alla cooperazione del Golfo, al sostegno alla causa palestinese, alla crisi dello Yemen. Il rapporto tra Emirati Arabi Uniti e Arabia Saudita è stato ed è ancora una valvola di sicurezza per la stabilità e la pace nella regione.

Oltre alle relazioni bilaterali i due Paesi hanno posizioni comuni su questioni regionali e internazionali sostenendo i valori di stabilità e sviluppo, nonché la logica della razionalità politica e del rispetto dei valori e del diritto internazionale. L’impatto positivo del partenariato emiratino-saudita sulla sicurezza nazionale del Golfo è stato messo in evidenza nell’affrontare il movimento di protesta a cui il Regno del Bahrain ha assistito nel marzo 2011, con una cospirazione sostenuta dall’Iran. La posizione unificata ha portato alla nascita di una missione in Bahrain con 1.200 soldati sauditi e 800 soldati degli Emirati su richiesta del governo di Manama. I due Paesi hanno anche assunto una posizione comune in merito agli eventi avvenuti in alcuni paesi arabi sulla scia delle cosiddette proteste della Primavera araba del 2011.

Hanno poi giocato un ruolo fondamentale nel mantenimento della coesione all’interno del sistema del Consiglio di cooperazione del Golfo, dopo aver voltato pagina sulla disputa con il Qatar nell’ambito dell’Accordo di Al-Ula durante il 41° Summit del Golfo tenutosi lo scorso 5 gennaio in Arabia Saudita. Durante la sua presidenza della 40a sessione del Consiglio di cooperazione del Golfo nel corso del 2020, che ha coinciso con il primo anno della pandemia, gli Emirati hanno stabilito le basi e le regole adottate dal Consiglio in quelle circostanze. Nonostante la diffusione del coronavirus durante la sua presidenza di questa sessione, gli Emirati hanno condotto più di 733 riunioni del Golfo, la maggior parte delle quali tramite in videoconferenza, per affrontare la pandemia e le sue ripercussioni.

Nella crisi yemenita, non solo gli Emirati hanno partecipato sin dall’inizio alla Coalizione araba guidata dai sauditi nel 2015 ma oggi sostengono la proposta di pace avanzata da Riad e respinta dai ribelli Houthi con la loro offensiva su Marib.

Sul fronte dell’antiterrorismo, i due Paesi hanno unito gli sforzi regionali e internazionali per contrastare l’estremismo, partecipando alla Coalizione internazionale guidata dagli Stati Uniti contro l’organizzazione terroristica dello Stato islamico nel 2014. Gli Emirati Arabi Uniti e l’Arabia Saudita svolgono un ruolo nella guerra internazionale contro l’estremismo, soprattutto per quanto riguarda l’affrontare gli aspetti culturali e intellettuali, come l’influenza della Fratellanza musulmana sulle società della regione. Il Consiglio degli Emirati per la Sharia ha emesso lo scorso novembre una fatwa che rende illegale nel paese la Fratellanza musulmana e la considera un’organizzazione terroristica. Questa fatwa è arrivata una settimana dopo quella emessa dal Gran Mufti del Regno dell’Arabia Saudita, lo sceicco Abdul Aziz bin Abdullah Al-Sheikh, secondo cui la Fratellanza è “fuorviata e non ha nulla a che fare con l’Islam”.


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