La Russia si inserisce alle spalle dell’Etiopia in un momento delicato per il Paese e per la regione. Mosca vuole sfruttare le crisi dell’area per proprio interesse
La Russia continua a cercare spazi in Africa, con particolare attenzione alla regione del Corno. Mosca vuole un appoggio militare sul Mar Rosso, lineamento talassocratico tra Mediterraneo e Oceano Indiano, ma per ora deve accontentarsi dell’entroterra più prossimo, l’Etiopia, con cui ha siglato recentemente un accordo di cooperazione militare.
Al Cremlino sanno bene che l’accordo arriva in un momento delicato della storia etiope, e per questo acquisisce valore. La cooperazione con l’Etiopia si snoda in un ambito di interesse strategico per molti paesi, tra cui l’Italia. L’intesa diventa un moltiplicatore in ottica Sudan, per esempio, un paese che la Russia ha individuato come punto di appoggio per una base sul Mar Rosso. Un progetto che fatica a prendere il via. Tutto arriva come messaggio diretto a Khartum.
Etiopi e sudanesi sono in rotta di collisione su uno dei dossier più delicati della regione: la diga Gerd sul Nilo, grande preoccupazione anche per l’Onu —si veda la competizione diplomatica che s’è innescata tra paesi che vogliono usare la situazione per spingere la propria riqualificazione sulla scena internazionale. Addis Abeba sta procedendo al secondo livello di riempimento proprio in questi giorni, nonostante già da Egitto e Sudan siano arrivati messaggi duri.
L’eventualità di un conflitto, seppur non probabile, non è del tutto scongiurata, perché soprattutto al Cairo considerano le acque del Nilo una necessità esistenziale per il sostentamento della propria popolazione; vedono come inaccettabile che la diga sul Nilo Azzurro restituisca a valle una portata ridotta sotto il controllo altrui. Essere partner militari dell’Etiopia dà alla Russia una carta da giocare — anche in sede CdS Onu — all’interno di questa crisi. Di più: quella carta diventa leva con Khartum, che subisce gli stessi problemi idrici egiziani, mentre sta traccheggiando sul concedere la base di Port Sudan che i russi vorrebbero. Gioco complicato tuttavia, perché il rischio nel breve periodo è l’innesco di crisi nelle relazioni sia con l’Egitto che con il Sudan.
E c’è di più: l’Etiopia è un nodo cruciale degli equilibri della regione anche per la crisi militare nel Tigray. Il conflitto tigrino è tutt’altro che risolto, nonostante le (contestate) elezioni le forze di governo restano deboli, le Nazioni Unite hanno esposto la dimensione umanitaria penosa della guerra tra governo centrale e insorti, gli Stati Uniti hanno messo sotto sanzioni alcuni funzionari locali per le violenze contro i tigrini. Davanti a tutto questo, come nel caso della Gerd, l’accordo con Mosca arriva in un momento in cui Addis Abeba cerca sponsor internazionali.
Per la Russia, aggiungere l’Etiopia alla penetrazione geopolitica in Africa è utile perché rafforza il triangolo che dalla Cirenaica scende verso il Sahel e la Repubblica Centrafricana. Aree in cui i russi sono presenti in forze tali da poter usare anche come forma di cooperazione in paesi terzi con altri attori interessati all’area. Per primo la Cina, ma anche Turchia, Qatar ed Emirati Arabi. Cooperazioni competitive, su cui Mosca può cedere o meno controbilanciando le decisioni con quelle su altri dossier dove a loro volta quei paesi potrebbero chiedere o dare alla Russia. Per tutto questo, essere in Etiopia conta in un’ottica di lungo periodo, e Mosca segna il territorio con la cooperazione militare, terreno delicato per altri player.