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Gli Usa preparano un ritiro graduale dall’Iraq

McGurk a Baghdad, poco dopo l’arrivo del capo dell’Intelligence iraniana, per discutere dei meccanismi per il ritiro delle forze statunitensi che sarà diverso da quello dall’Afghanistan

L’’amministrazione statunitense del presidente Jeo Biden sta preparando il ritiro delle sue truppe dall’Iraq, che sarà però diverso da quello avvenuto in Afghanistan. Una delegazione dell’amministrazione Usa ha discusso il 15 luglio con le autorità irachene a Baghdad circa i meccanismi per il ritiro delle sue forze dal Paese, in vista di una nuova fase di cooperazione. L’ufficio stampa del governo iracheno ha annunciato che il primo ministro, Mustafa Al-Kazemi, ha ricevuto una delegazione Usa guidata da Brett McGurk, coordinatore del desk Mena del Consiglio di sicurezza nazionale della Casa Bianca. Si legge nella nota che “le due parti hanno discusso dei meccanismi per il ritiro delle forze di combattimento statunitensei dall’Iraq e il passaggio a una nuova fase di cooperazione strategica. Hanno anche affrontato gli sviluppi della situazione regionale, sottolineando la necessità di dare priorità al linguaggio del dialogo e della calma, e il ruolo crescente dell’Iraq in questo senso”.

Anche il presidente iracheno, Burham Saleh, ha ricevuto McGurk, al quale ha sottolineato l’importanza di continuare a lavorare nella lotta contro “il terrorismo e sradicarne le radici in tutta la regione”, secondo quanto riporta una dichiarazione della presidenza irachena. Il comunicato precisa che l’incontro ha affrontato “il tema delle relazioni bilaterali tra i due Paesi e le modalità per valorizzarle in campo politico, economico e culturale nel contesto del dialogo strategico esistente tra loro, nel rispetto degli interessi comuni e del rispetto della sovranità”.

Secondo gli osservatori arabi però, a parte le dichiarazioni formali, non esiste ancora un accordo definitivo su quali saranno i prossimi passi da compiere. Il direttore della redazione dell’emittente “Al-Jazeera” a Baghdad, Walid Ibrahim, ha spiegato in un collegamento che le discussioni tra la delegazione Usa e quella irachena hanno riguardato i meccanismi per il ritiro delle forze statunitensi, non il ritiro stesso, osservando che la parte statunitense parla di ridispiegamento, mentre gli iracheni parlano di ritiro. Il che significa che le due parti non hanno ancora raggiunto una formula concordata e che il ritiro non è imminente”. Fonti della delegazione Usa hanno poi precisato ai media locali che non si tratterà di un ritiro, come avvenuto in Afghanistan, ma di un graduale ridispiegamento con modelità e tempistiche diverse.

Poche ore prima di questo incontro il ministro dell’Intelligence iraniano, Mahmoud Alawi, era arrivato a Baghdad. Alawi ha incontrato il capo dell’Agenzia per la sicurezza nazionale irachena, Abdul Ghani Al-Asadi. Circa una settimana fa invece il capo dell’intelligence delle Guardie rivoluzionarie iraniane, Hussein Taeb, ha visitato l’Iraq e ha incontrato i funzionari delle Forze di mobilitazione popolare (Pmu). Queste visite in Iraq avvengono in un periodo nel quale gli attacchi militari contro obiettivi statunitensi si siano intensificati notevolmente. Queste visite di funzionari di Teheran e Washington avvengono quindi in condizioni estremamente tese in Iraq, che è nel bel mezzo di una crisi. Proprio oggi il leader politico sciita iracheno, Moqtada al-Sadr, ha annunciato che non intende candidarsi alle prossime elezioni previste ad ottobre e di non sostenere alcun partito, “per proteggere ciò che resta del Paese”, come forma di protesta contro la corruzione del governo. Questo nonostante la sua lista nel 2018 abbia ottenuto milioni di voti eleggendo 54 deputati.

L’Iraq è in trattative con gli Stati Uniti per fissare un calendario per il ritiro delle forze della Coalizione internazionale schierate per combattere l’Isis nel 2014. Ci sono ancora circa 3.500 soldati stranieri sul suolo iracheno, inclusi 2.500 statunitensi, ma l’attuazione del meccanismo per il loro ritiro potrebbe richiedere anni. Il primo ministro iracheno dovrebbe visitare Washington alla fine di questo mese per discutere la questione.

Lo scorso aprile Washington e Baghdad hanno concordato, a conclusione del terzo round del dialogo strategico, di trasformare il ruolo delle forze Usa e della Coalizione internazionale in una “consulenza di addestramento” con il ritiro delle forze combattenti secondo un calendario previsto. Il 5 gennaio 2020, il parlamento iracheno ha votato a favore di una risoluzione che chiede l’allontanamento delle forze straniere, compresi gli Stati Uniti, dal Paese. Le forze politiche irachene, vicine a Teheran, premono affinché le forze statunitensi lascino l’Iraq. Obiettivi statunitensi vengono spesso attaccati in questo paese, e Washington accusa le fazioni sciite legate a Teheran di essere responsabili di questi attacchi.

Dall’inizio dell’anno in Iraq sono stati effettuati cinquanta attacchi missilistici o droni contro gli interessi statunitensi. Nessuno ha rivendicato gli attacchi all’ambasciata Usa e alle basi in Iraq, ma Washington li attribuisce alle Forze di mobilitazione popolare (Pmu), un’alleanza di milizie sciite fedeli all’Iran presenti nel Paese. L’ultimo attacco su larga scala del 7 luglio ha preso di mira la base militare di Ain al-Assad nell’Iraq occidentale, dove 14 missili sono caduti senza causare vittime. Da parte loro, gli Usa hanno lanciato attacchi a fine giugno sulle posizioni delle fazioni filo-iraniane in Iraq e Siria, uccidendo più di dieci miliziani.

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