La base di Al Salem, in Kuwait, è “divenuta centro nevralgico delle nostre capacità di supporto strategico nella regione”, ha detto Lorenzo Guerini oggi in Parlamento. Lo è divenuta anche per lo sfratto dalla base di Al Minhad negli Emirati, frutto dell’insofferenza di Abu Dhabi per la gestione italiana dell’export della Difesa. Ci sono però “azioni diplomatiche in corso”, a partire dall’alleggerimento delle condizioni richieste alle vendite per Emirati e Arabia Saudita. E intanto Di Maio spiega cosa è successo sulle autorizzazioni…
“La Difesa guarda con attenzione alle azioni diplomatiche in corso per la ripresa del dialogo e il ristabilirsi di relazioni positive con gli Emirati Arabi, che rappresentano sicuramente un partner strategico nella regione”. Parola del ministro della Difesa, Lorenzo Guerini, intervenuto questa mattina insieme al collega Luigi Di Maio per presentare alle commissioni competenti di Senato e Camera la delibera missioni per l’anno in corso. “Abbiamo una risoluzione parlamentare che impegna per legge i nostri funzionari a eseguire questo blocco”, ha detto il titolare della Farnesina sull’export. “Finché il Parlamento non deciderà con analogo atto il contrario, noi non potremo modificare questo regime”.
L’attenzione sui rapporti con gli Emirati si è riaccesa da inizio giugno, da quando il Paese ha negato il sorvolo all’aereo di giornalisti al seguito del ministro Guerini in viaggio verso l’Afghanistan. Più di recente è divenuto pubblico l’ultimatum presentato dagli Emirati Arabi all’Italia: lasciare la base di Al Minhad entro il 2 luglio. Base utilizzata dall’Italia come appoggio per tutti gli impegni nell’area, una “Forward logistic airbase” funzionale a sostenere i dispiegamenti delle nostre Forze armate con supporto logistico. Le difficoltà con Abu Dhabi sono da attribuire alla mossa con cui, lo scorso gennaio, l’Italia ha revocato le licenze all’export (già autorizzate) di bombe e missili verso Arabia Saudita ed Emirati Arabi per contribuire a fermare il conflitto in Yemen, mossa che ha colpito soprattutto la filiale italiana dell’azienda tedesca Rwm. Ma le revoche di gennaio sono da aggiungere a quanto introdotto nel 2019, anche in quel caso sulla scia di una risoluzione parlamentare, cioè il meccanismo di autorizzazione rafforzato su licenze già assegnate alle aziende italiane per vendite verso i due Paesi, che ha reso più difficile esportare (comprese le parti di ricambio per la pattuglia acrobatica emiratina).
Proprio questo meccanismo rafforzato è venuto meno il 30 giugno scorso, a due giorni dallo scadere dell’ultimatum emiratino, con una decisione dell’Uama (l’ufficio della Farnesina che si occupa della autorizzazioni all’export), comunicata il 5 luglio a circa trenta aziende italiane coinvolte nelle vendite: “tutte le autorizzazioni rilasciate, in corso di validità, sono da da ritenersi valide anche senza tale prescrizione”. Vista l’assenza di altre comunicazioni pubbliche, è da ritenersi la più nota tra le “azioni diplomatiche” a cui ha fatto riferimento oggi Guerini, sottolineando altresì la strategicità della partnership con gli Emirati.
“Sicuramente agli amici emiratini non ha fatto piacere l’azione portata avanti dal Parlamento italiano, non dal ministero degli Esteri o dal governo italiano, che con ben due risoluzioni negli ultimi due anni ha chiesto al governo di fermare l’export di missili e bombe verso Arabia Saudita ed Emirati Arabi”, ha detto invece Luigi Di Maio. “Quello che è avvenuto il 28 gennaio di quest’anno è stato esclusivamente il passaggio da sospensione dell’export a definitivo blocco dell’export, per una ragione molto semplice: perché erano scaduti tutti i termini che consentivano di sospenderlo”, ha ricostruito il titolare della Farnesina. “Noi abbiamo una risoluzione parlamentare che impegna per legge i nostri funzionari a eseguire questo blocco; l’unica cosa che abbiamo fatto negli ultimi mesi è stata cercare di semplificare tutte le procedure che non riguardavano questo blocco; noi diamo solo seguito a una risoluzione del Parlamento, in particolare del ramo Camera dei deputati; finché il Parlamento non deciderà con analogo atto il contrario, noi non potremo modificare questo regime per quanto riguarda bombe e missili e in particolare tre licenze specifiche che sono state fermate proprio per ragioni legate a questa risoluzione”.
L’invito a “ristabilire al meglio le relazioni” è comunque “giusto”, ha dichiarato il ministro Di Maio, rispolverando i casi critici degli ultimi dieci anni: “lo sgombero della base di Al Minhad, il caso Alitalia che sta entrando nel vivo dei processi, e il caso Piaggio Aero”. E su questi altri due casi, ha aggiunto, “abbiamo invitato un investitore straniero a venire in Italia, ma non siamo stati in grado di garantire quanto assicurato all’investitore straniero; questo ha colpito il rapporto di attrazione di investimento dell’Italia non solo da parte degli Emirati ma da molti Paesi del Golfo”.
Sul terzo caso (la base emiratina) il danno logistico e operativo è dunque ormai assodato. Non a caso, nell’audizione odierna, Guerini ha sottolineato l’importanza della base di Al Salem, in Kuwait, per gli impegni nell’area, compresa la nuova missione nello Stretto di Hormuz. La base in Kuwait, ha detto il ministro, è “divenuta centro nevralgico delle nostre capacità di supporto strategico nella regione, alla cui sicurezza contribuiamo anche con una batteria missilistica, autorizzata da questo Parlamento lo scorso anno”. Lo è divenuta “anche alla luce della chiusura, negli Emirati Arabi Uniti, della base aerea di Al Minhad, che si completerà nei prossimi giorni”.
Per quanto riguarda la decisione dell’Uama, ci ha spiegato l’esperto Michele Nones, “non sana la crisi di affidabilità e di credibilità dell’Italia nei confronti di quei Paesi, perché rischia di essere presa come conferma di un export improntato agli umori del momento”. Di più: “Non c’è un comunicato del governo che spieghi perché la clausola viene meno o che prenda atto che la situazione sia cambiata, e ciò conferma che bisogna assolutamente riportare tali decisioni, e tutte quelle che riguardano la politica esportativa, all’interno di un ristretto concesso inter-ministeriale, fatto di ministri che hanno competenza sulla materia e che insieme possono decidere come meglio tutelare gli interessi nazionali tenendo conto dei vari elementi politici, diplomatici, di sicurezza, economici e finanziari”.