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Guerra dei chip, Johnson copia Draghi. Stop ai cinesi?

Standby. Il governo inglese mette in freezer un maxi-investimento cinese per una fabbrica di microchip, trenta giorni per decidere uno stop definitivo. Il premier Johnson è sotto attacco dei conservatori: “Ferma lo shopping di Pechino, come ha fatto Draghi”

Un dischetto di silicio di pochi millimetri rischia di scatenare un’altra crisi diplomatica fra Cina e Regno Unito. Una fabbrica inglese di microchip è diventata il nuovo pomo della discordia fra Boris Johnson e Xi Jinping.

Nexperia, azienda tech olandese partecipata al 100% dal colosso cinese dei semiconduttori Wingtech, ha appena acquistato Newport Wafer Fab (Nwf), produttore-leader di chip con sede a Newport, in Galles. L’investimento ammonta a 87 milioni di euro e potrebbe dare a una società cinese un importante vantaggio competitivo nella corsa internazionale ai microchip, ma l’ultima parola non è ancora detta.

Il governo inglese, ha annunciato Johnson, è pronto a valutare uno stop all’accordo. Questione di sicurezza nazionale: “Dobbiamo verificare se quel che producono ha un valore importante per la proprietà intellettuale ed è di reale interesse per la Cina, e se ci sono vere implicazioni per la sicurezza”. La nuova legge sullo screening degli investimenti dà al governo trenta giorni per poter bloccare un accordo sospetto. Spetterà a Stephen Lovegrove, il consigliere per la Sicurezza nazionale, il verdetto finale.

Intanto l’investimento continua a sollevare polemiche a Westminster. Nwf è un fiore all’occhiello della produzione di chip in Inghilterra, anche se da mesi fa i conti con debiti e bilanci ballerini. La vendita a Nexperia, cioè a Wingtech, ha fatto infuriare un drappello di parlamentari guidati dal presidente della Commissione Esteri, il Tory Tom Tugendhat. In una lettera a Downing Street il conservatore ha chiesto di congelare l’affare, chiamando in causa il governo italiano, che a marzo scorso ha bloccato con il golden power l’acquisto dell’azienda specializzata in chip Lpe di Baranzate da parte della cinese Shenzen Investment Holding, “i nostri alleati stanno trattando l’autosufficienza delle catene di fornitura dei semiconduttori come un imperativo della sicurezza nazionale”.

Da lunedì, quando è stato ufficializzato l’acquisto, la polemica è divampata. Gli stessi parlamentari Tory che un anno fa hanno quasi messo in minoranza il governo chiedendo di escludere le cinesi Huawei e Zte dalla rete 5G nazionale ora promettono battaglia, dall’ex leader del partito Iain Duncan Smith all’ex ministro Damian Green.

Sullo sfondo c’è il sospetto che dietro a Wingtech, tra le principali aziende del mercato telco cinese, negli ultimi anni specializzatasi nella produzione dei semiconduttori, ci sia il supporto del governo. È quanto denuncia la società di consulenza olandese Datenna, che monitora gli investimenti cinesi in Europa.

Wingtech, svela l’ultimo rapporto, è “sotto una significativa influenza del governo cinese”. Il 30% del colosso di Shanghai quotato in Borsa con un valore di mercato di 1,8 miliardi di dollari è riconducibile a entità affiliate al Partito comunista cinese (Pcc), fra cui la Commissione per la supervisione e l’amministrazione dei beni pubblici del Consiglio di Stato cinese.

In attesa del possibile stop all’accordo cresce il pressing da parte cinese. La fornitura di chip e l’accaparramento dei principali siti internazionali di produzione, a partire dai key-player del mercato a Taiwan e in Corea del Sud, è diventata una priorità dell’agenda del Partito comunista cinese (Pcc). Non a caso il presidente e segretario Xi ha affidato la missione a uno dei suoi più stretti collaboratori, il vicepremier e lo “zar” economico del governo Liu He, cui è stata data la guida di una apposita task force.

Martedì il premier Li Keqiang ha partecipato a un meeting online con un gruppo di imprenditori inglesi. Presenti anche i dirigenti di alcune delle principali multinazionali del Paese, da AstraZeneca a Unilever. Nel corso dell’evento, il primo ministro ha inviato un messaggio a Johnson: se vuole che la Cina faccia lo stesso, il Regno Unito deve garantire “un ambiente corretto, giusto e non discriminatorio per gli investitori cinesi”.

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