La situazione in Libia va risolta passo dopo passo, e in questo momento lo step necessario è quello elettorale. Le elezioni libiche passano per Roma, che ospita una riunione internazionale guidata dall’Onu per trovare una quadra sulla legge elettorale con cui votare il 24 dicembre
Come annunciato dall’inviato speciale delle Nazioni Unite, Jan Kubiš, stanno iniziando le riunioni onusiane ospitate a Roma per dirimere il nodo elettorale in Libia: una passaggio centrale per sostenere il processo di stabilizzazione che si è innescato dal cessate il fuoco dell’ultimo conflitto.
Il meeting riunisce un comitato creato da Agila Saleh, il presidente della House of Representatives (il parlamento libico eletto nel 2014 e noto con l’acronimo inglese HoR), con lo scopo di redigere la legge elettorale con cui i libici andranno alle urne. Il summit è parte degli sforzi che sta dirigendo l’Onu per far sì che si trovi una soluzione in fretta, perché il tempo stringe.
Se la legge non viene preparata entro inizio agosto, allora le elezioni fissate dalle Nazioni Unite il 24 dicembre con ogni probabilità salteranno, come ha annunciato nei giorni scorsi il presidente dell’Alta commissione elettorale libica. E in questa concentrazione di sforzi, il passaggio romano diventa centrale per non dire cruciale.
Per il futuro della Libia il voto è fondamentale, come più volte ribadito dall’Onu, ma anche dall’Italia e dagli Stati Uniti. Washington ha un interesse diretto: ritiene che soltanto un governo passato dalle urne, un esecutivo eletto, sarà in grado di far uscire dal territorio libico i vari gruppi armati stranieri. In particolare gli americani sono preoccupati delle unità russe presenti in Libia.
Da alcuni giorni abbiamo la conferma che oltre ai contractors del Wagner Group, società privata ma con forti connessioni col Cremlino, sul suolo della Cirenaica sono presenti anche piccoli nuclei di soldati regolari inviati da Mosca. Si tratta di unità speciali che sono dispiegate sia a Sirte che ad al Jufra, due dei punti di aggancio dell’operazione con cui la Russia ha dato sostegno al signore della guerra dell’Est, Khalifa Haftar.
Gli Usa chiedono un governo regolarmente eletto perché dietro a questo potrebbero investire tutta la propria forza diplomatica per raggiungere l’uscita (graduale, certamente) delle varie forze straniere e difendere i propri interessi. Non va dimenticato infatti che anche la Turchia ha rafforzato la propria impronta nella Tripolitania, costruita attraverso un accordo di cooperazione col precedente governo onusiano che però si è portato dietro l’arrivo in Libia di mercenari siriani spostati da Ankara.
Certamente non possiamo considerare l’elezioni come una panacea automatica, ahinoi: concordo con quanto scritto su queste colonne dall’analista Dario Cristiani, che ha evocato il rischio di attori interni che potrebbero non accettare il risultato elettorale e da lì scatenare una potenziale ripartenza delle tensioni, fino al parossismo del riaccendersi di scontri armati.
Però sappiamo anche che con la crisi libica occorre procedere per step, un passo per volta e ora il processo innescato richiede il rispetto delle elezioni fissate per il 24 dicembre. Una volta votato, certamente si dovrà lavorare per fare in modo che il voto venga accettato. La situazione sarà molto complessa.
E in vista delle elezioni, sfruttando anche questo passaggio a Roma come messaggio che i libici stessi mandano all’Italia, scegliendola come piattaforma negoziale in cui cercare di dirimere un nodo complesso in un momento cruciale. D’altronde anche il nostro paese trarrà beneficio dalla presenza in Libia di un governo eletto, sia in termini di partnership, sia in termini di eliminazione di presenze potenzialmente ostili a pochi chilometri dalle nostre coste.