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Incontro Draghi-Kadhimi. Perché l’Iraq è importante per l’Italia (e viceversa)

L’Italia svolgerà a breve il ruolo di guida della missione con cui la Nato assiste Baghdad nell’addestramento delle forze armate alla lotta al terrorismo. Una situazione complessa, un Paese che ha bisogno di sostegno per la ricostruzione dopo la furia baghdadista, mentre le milizie sciite complicano il contesto

Dall’incontro del presidente del Consiglio Mario Draghi con l’omologo iracheno Mustafa Al-Kadhimi emerge un contatto tra i due paesi su temi fondamentali per la stabilità irachena e regionale, a cominciare dalla lotta al terrorismo, con lo Stato islamico che (come uscito dalla riunione della Coalizione internazionale ospitata a Roma) è ancora in forte nonostante sia stata disarticolata la statualità che il gruppo terroristico aveva costruito tra il 2014 e il 2015 partendo proprio dall’Iraq.

Un aspetto che lega ulteriormente l’asse italo-iracheno, visto che aziende italiane potrebbero avere un ruolo nella ricostruzione del paese (e nella ricomposizione del quando socio-economico, che passa anche dal tema della tutela e restauro dei siti archeologici distrutti dall’iconoclastia baghdadista) e soprattutto visto il ruolo che il contingente militare italiano svolge nel training anti-terrorismo alle forze armate irachene. Mentre una commessa militare, sotto embargo dai tempi di Saddam con tanto di soldi iracheni congelati da banche italiane, è stato uno dei temi di discussione.

Il capo del governo di Baghdad è arrivato a Roma dopo essere passato da Bruxelles, dove ha avuto incontri con la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg e l’omologo belga, Alexander De Croo. Al di là delle visite alle componenti istituzionali europee e dell’altrettanto importante passaggio in Vaticano (consolidazione dello storico viaggio di Papa Francesco in Iraq), la visita romana di Kadhimi dimostra che Italia e Iraq hanno interessi in comune proiettati nel prossimo futuro. Con Baghdad capitale di un paese la cui importanza negli equilibri mediorientali – e dunque in quelli del Mediterraneo Allargato – è cruciale.

Dalla riunione della Coalizione che si è svolta lunedì 28 giugno è emerso che tutti i paesi membri hanno accettato con favore la progressiva espansione delle attività non-combat della missione Nato di consulenza, di addestramento e di capacity building in Iraq. E dal maggio 2022 l’Italia prenderà il controllo delle attività: un ruolo che gli viene consegnato anche in funzione delle capacità dimostrate sul campo nel creare sia sinergie con le forze locali, sia empatia con il contesti socio-culturale in cui sono inserite.

“Siamo pronti ad adattare il nostro contributo alle future necessità che dovessero emergere dall’evoluzione della situazione sul terreno, sempre in sintonia con le esigenze delle istituzioni irachene”, ha detto il ministro della Difesa Lorenzo Guerini durante l’incontro laterale con il collega iracheno Jumaah Enad, svoltosi oggi a Palazzo Esercito. “Per l’Italia il rapporto con l’Iraq e il suo popolo ha una elevata valenza. Una relazione di reciproca amicizia, che ha come obiettivo comune la prosperità e la stabilità del Paese” ha aggiunto Guerini ribadendo la volontà dell’Italia di rafforzare la cooperazione bilaterale: “La nostra presenza in Iraq, fin quando benvenuta dal popolo iracheno, non è in discussione”.

Il ruolo non è semplice, perché lo Stato islamico è una realtà strisciante ancora problematica, che dal cuore iracheno (nascosto al confine con la Siria) cerca di propagare le proprie istanze in aree del mondo complesse come l’Africa. “I sacrifici compiuti dall’Iraq nel contrasto alla minaccia terroristica sono stati fatti sicuramente per il popolo iracheno ma anche per la sicurezza del mondo” ha detto Guerini sottolineando che “a sostenere il peso maggiore della lotta a Daesh sono state le Forze Armate e di Sicurezza irachene e le loro famiglie”.

E a complicare la situazione c’è lo scontro ingaggiato dalle milizie sciite contro le forze occidentali, in primis quelle americane. Durante il 2021 la qualità degli attacchi provocatori di questi gruppi paramilitari (che compongono il tessuto politico e sociale iracheno) è aumentata, e diverse volte anche la base di Erbil, dove è presente un contingente italiano che addestra i Peshmerga curdi, è finita tra i bersagli.

È l’onda lunga del confronto Washington-Teheran. All’Italia il compito di trovare spazi in una situazione difficile, appoggiando anche il governo iracheno nel tentativo di smarcarsi dal peso delle milizie (e dei Pasdaran). Un peso che rischia di riaprire ferocemente i fronti settari interni, quelli alla radice dell’attecchimento delle istanze califfali nel 2014 – quando la grande cavalcata baghdadista iniziò con la conquista simbolica di Falluja, tra la popolazione locale che lanciava fiori ai pick-up con le bandiere nere, visti come un segno di speranza (sunnita) davanti agli anni dell’oppressione (sciita).

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