La copertura artificiale del territorio di casa nostra ha viaggiato, nel 2020, alla velocità di 2 metri quadrati al secondo. Dal 2012 ad oggi il suolo non ha potuto garantire la fornitura di oltre 4 milioni di quintali di prodotti agricoli, l’infiltrazione di oltre 360 milioni di metri cubi di acqua piovana (che ora scorrono in superficie mettendo a rischio i nostri territori) e lo stoccaggio di quasi 3 milioni di tonnellate di carbonio. Tutti i dati del Rapporto 2021 sul “Consumo di suolo in Italia”, realizzato dal Sistema Nazionale per la Protezione dell’Ambiente
È compreso tra gli 81 e i 99 miliardi di euro, la metà circa del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, il costo complessivo che l’Italia potrebbe essere costretta a sostenere a causa della perdita dei “servizi eco sistemici dovuta al consumo di suolo tra il 2012 e il 2030”. La copertura artificiale del territorio di casa nostra ha viaggiato, nel 2020, alla velocità di 2 metri quadrati al secondo. Dal 2012 ad oggi il suolo non ha potuto garantire la fornitura di oltre 4 milioni di quintali di prodotti agricoli, l’infiltrazione di oltre 360 milioni di metri cubi di acqua piovana (che ora scorrono in superficie mettendo a rischio i nostri territori) e lo stoccaggio di quasi 3 milioni di tonnellate di carbonio, l’equivalente di oltre un milione di macchine in più circolanti nello stesso periodo per oltre 90 miliardi di chilometri: “due milioni di volte il giro della Terra”.
È quanto emerge dal Rapporto 2021 sul “Consumo di suolo in Italia”, realizzato dal Sistema Nazionale per la Protezione dell’Ambiente.
“Le colate di cemento, si legge nel Rapporto, non rallentano neanche nel 2020, nonostante i mesi di blocco di gran parte delle attività durante il lockdown, e ricoprono quasi 60 chilometri quadrati, impermeabilizzando ormai oltre il 7% del territorio nazionale. Oggi ogni italiano ha a disposizione 360 metri quadri di cemento (erano 160 negli anni ’50)”. L’incremento maggiore è in Lombardia, che torna al primo posto tra le regioni con 765 ettari in più in dodici mesi, seguita da Veneto (+682 ettari), Puglia (493), Piemonte (+439) e Lazio (+431).
Il confronto tra il 2019 e il 2020 mostra che 767 ettari del consumo di suolo annuale si sono concentrati all’interno delle aree a “pericolosità idraulica” media (sono quelle aree dove la probabilità che piogge molto forti e abbondanti possano provocare una frana o un’alluvione) e 285 in quelle a “pericolosità di frana”. Questi dati si confermano anche nei territori a “pericolosità sismica alta” dove il 7% del suolo risulta ormai cementificato.
A livello nazionale superano i 2300 gli ettari consumati all’interno delle città e delle aree produttive (il 46% del totale) negli ultimi dodici mesi. Per questo le nostre città sono sempre più calde, con temperature estive già più alte di 2° C, che possono arrivare a 6°C in più rispetto alle aree limitrofe non urbanizzate. Così, anziché rigenerare e riqualificare gli spazi già edificati, sono stati consumati in sette anni 700 ettari di suolo agricolo e il trend è in crescita. In veneto le maggiori trasformazioni (181 ettari dal 2012 al 2019, di cui il 95% negli ultimi tre anni) dovute alla logistica, seguita da Lombardia (131 ettari) e da Emilia Romagna (119).
Un focus particolare ha riguardato il consumo di suolo nell’Area Metropolitana di Milano e nel Comune di Roma. Nella prima, tra il 2006 e il 2020 sono stati consumati oltre 2150 ettari di territorio, mentre nel secondo ha riguardato poco più di 2023 ettari. “In questi 14 anni, in cui il tema del consumo del suolo ha cominciato ad assumere una notevole importanza non solo sotto il profilo scientifico e ambientale, ma anche e soprattutto sociale e politico, gli ettari di suolo consumati per far posto alle aree edificate delle due principali città italiane non si è mai fermato. Oltre 123 gli ettari consumati nella Capitale tra il 2019 e il 2020, mentre nell’Area Metropolitana di Milano, nello stesso periodo, sono stati impermeabilizzati 93,54 ettari di suolo”. Nel periodo 2012-2020 l’incremento del consumo di suolo a Roma è stato di quasi 700 ettari; a Milano salgono a 978.
La scelta di prendere in esame Comune di Roma e Area Metropolitana di Milano nasce da alcune considerazioni di fondo. Roma e Milano sono due città molto diverse tra loro. Il Comune di Milano è più piccolo di quello di Roma, sia come superficie che come popolazione. Per avere un aggregato simile occorre guardare all’area metropolitana milanese. Dai dati emerge chiaramente che la maggior parte del consumo di suolo degli ultimi 15 anni, si concentri, nel caso di Roma, “all’interno dei limiti del Comune centrale”, mentre nel caso di Milano è esattamente l’opposto: “il 90% del consumo dello stesso periodo avviene nei Comuni di cintura e non nel capoluogo” . Diverse anche le percentuali di superfici già consumate (Milano 58%, Roma 23,5%). Nella città lombarda ogni residente ha a disposizione poco più di 50 metri quadrati di aree non consumate, a fronte dei 350 per abitante nella Capitale.
“La legge contro il consumo di suolo è una riforma non rinviabile, prevista anche dal Pnrr – ha dichiarato Stefano Ciafani, presidente di Legambiente – Occorre impedire che la ripresa post-pandemica inneschi dinamiche speculative ai danni dei suoli liberi. Il suolo è centrale per la transizione ecologica, attraverso una speciale tutela per i suoli, siano essi di foresta, di pascolo o zone umide, perché questi sono i più preziosi giacimento di biodiversità del nostro Paese”.
“La trasformazione che il Pnrr ci impone – ha sottolineato il ministro delle Infrastrutture e della Mobilità Sostenibili Enrico Giovannini – è che le infrastrutture non possono non essere sostenibili. Potrebbe sembrare un ossimoro, ma perché una infrastruttura sia sostenibile occorre che soddisfi i bisogni dei territori e che venga valutata durante tutto l’arco della sua vita e non solo al momento della sua realizzazione. Deve inoltre tener conto del suo impatto ambientale e sociale, attraverso il coinvolgimento delle comunità locali. La trasformazione delle nostre infrastrutture in sostenibili non vuol dire rinunciare a fare le cose, ma vuol dire difendere la qualità del suolo per uno sviluppo realmente sostenibile”.