Il primo ministro israeliano è andato segretamente in Giordania per incontrare il re, rilanciare le relazioni bilaterali attraverso un accordo sulle forniture idriche e seguire il consiglio di Washington di recuperare il dialogo con quanti più attori possibili nella regione (dove per gli Usa la stabilità è questione strategica)
Nessun commento ufficiale è ancora uscito, ma nemmeno nessuno ha smentito quanto riportato dall’informatissimo giornalista israeliano Barak Ravid: il primo ministro israeliano, Naftali Bennett, è volato in forma teoricamente segreta in Giordania, dove ha incontrato Re Abdullah II. La visita, eccezionale in forma e sostanza, è avvenuta la scorsa settimana, dopo che da cinque anni Gerusalemme e Amman non avevano incontri formali. Inutile quasi aggiungere che tutto avviene nel contesto in divenire che ha portato alcuni paesi arabi a normalizzare i rapporti con lo stato ebraico sotto quel quadro diplomatico promosso dagli Stati Uniti che prende il nome di “Accordi di Abramo”.
Non solo, l’incontro segue la fase di tensione tra il regno e Benjamin Netanyahu, ex primo ministro israeliano che da poche settimane ha lasciato l’incarico che ricopriva ininterrottamente (sebbene con governi diversi) dal 2009. Sebbene il respiro dietro certe dinamiche è più ampio, Bennett si muove anche per marcare differenze politiche col suo predecessore. Tant’è che il tema pratico dell’incontro è stato un accordo sulla vendita dell’acqua israeliana alla Giordania. Una questione che con Netanyahu aveva aperto un contenzioso tra i due paesi per le violazioni israeliane, legate ai bassi livelli del Mare della Galilea, sulle quote previste dall’accordo di pace bilaterale del 1994. Il governo giordano ha bisogno di quell’acqua per far fronte alle necessità dei propri cittadini, in sofferenza per una devastante carenza idrica.
Ma i significati simbolici della visita vanno oltre al contesto pratico, e guardano alla Cisgiordania e alla geopolitica regionale. Da leggere infatti la tempistica. Se è vero che la scorsa settimana è uscita la notizia su una nuova fornitura (50 milioni di metri cubi di acqua, a tre dollari al metro cubo) che Israele ha approvato verso la Giordania in un accordo firmato dai reciproci ministri degli esteri sul lato giordano del ponte Allenby; è altrettanto da notare che alla fine delle prossima settimana a Washington arriverà re Abdullah, ospite nello Studio Ovale il 19 luglio. Per quanto noto il presidente americano Joe Biden sta spingendo una sostanziale stabilizzazione della regione mediorientale, secondo la necessità strategica statunitense di alleviare il livello di coinvolgimento per concentrarsi su altri dossier prioritari (leggasi Cina).
Questo è possibile soltanto se tutti i pezzi del puzzle si incastrano nel posto giusto, e gli incastri si muovono anche secondo certe esigenze dei vari paesi in gioco: l’acqua è una di queste, e Biden avrebbe fatto in modo di fluidificare l’accordo idrico israelo-giordano da cui scaturisci il ritorno a relazioni normali tra i due Paesi. Attorno c’è un quadro positivo per il riallaccio dei rapporti. L’area che secondo la dottrina americana va sotto l’acronimo MENA (Medio Oriente e Nord Africa, che l’Italia identifica in ottica più ampia come il Mediterraneo Allargato) ha subito l’effetto dell’arrivo di Biden alla Casa Bianca, seguendo un percorso avviato dall’amministrazione Trump secondo le medesime esigenze, ossia portare stabilità e dialogo tra gli attori delle regione per utilità strategica.