Mario Draghi, al di là dei suoi meriti e anche delle sue incertezze o possibili errori, è comunque la garanzia che la macchina dello Stato non finisca fuori controllo. Un Timoniere senza il quale l’ingentissimo ammontare di risorse che la Ue ci ha dato in misura più alta di qualunque altro Stato europeo minaccerebbe di disperdersi o, peggio che mai, di bloccarsi
Tra i tanti modi di osservare le convulse vicende politiche di queste settimane e mesi, ce n’è uno più utile di altri. Consiste nel ritrarsi dalla bagarre, salire su uno sgabello metaforico e guardare un po’ dall’alto la situazione. E allora di fronte allo scontro senza quartiere e senza regia sulla legge Zan; agli sgambetti, nel centrodestra e non solo, sulle nomine Rai; al bailamme a mille decibel tra partiti, ministri e presidenti di regione sul green pass, ci si può rendere ben conto che l’anti-draghismo non è rappresentato dalle ambizioni di Giuseppe Conte o i contorcimenti del M5S, e neanche dai posizionamenti più o meno strumentali di Pd e Lega, e infine neppure dalla rincorsa della Meloni al primo posto nei sondaggi.
Il vero anti-draghismo è il caos. La realtà è che senza la mano ferma del presidente del Consiglio – che pure non è esente da incertezze e critiche: la vicenda del pullman della Nazionale in giro per il cento di Roma ne è un esempio – i partiti andrebbero al confronto in ordine sparso e anzi in molte occasioni lo eviterebbero per dare sfogo alle pulsioni identitarie, allo spossante wrestling che da anni va in scena, all’inconcludente contrapposizione che paralizza e impedisce di prendere decisioni.
Mercoledì il capo del governo e il ministro della Giustizia sono andati nel carcere di Santa Maria Capua Vetere, teatro di inaccettabili violenze contro i detenuti, per una visita ad alto valore simbolico e per ribadire che in uno Stato di diritto cose del genere non possono accadere. Un modo preciso, seppur indiretto, anche per sostenere la riforma della giustizia che il Parlamento deve varare entro fine mese per dar conto all’Europa della determinazione a procedere sul sentiero descritto nel Pnrr. E che al momento registra una divaricazione inquietante in seno al partito ancora maggioritario nelle aule parlamentari.
Draghi governa così, e ogni giudizio è legittimo mentre ogni atteggiamento compiacente o adulatorio lascia il tempo che trova. Il punto vero è che oggi il presidente del Consiglio fa da cerniera e argine rispetto a una contrapposizione politica strisciante ma sempre pronta ad esplodere, che se attuata senza freni porterebbe il Paese a sbattere. Né vale la motivazione per cui la legge Zan è di promanazione parlamentare e dunque il governo è bene ne resti fuori. Certo che è così, ma una cosa è rivendicare l’autonomia delle Camere, altra compiacersi dell’inanità che ne deriva.
La presenza e l’azione del premier, allo stato, rappresentano l’unico nonché migliore collante possibile di una situazione che in assenza rischierebbe il puro sfilacciamento. È SuperMario che tiene unita una maggioranza cosiddetta di larghe intese in cui siedono fianco a fianco leader che in altri contesti starebbero su fronti opposti: e appena sorgono le condizioni non fanno altro che ricordarlo. Mario Draghi, al di là dei suoi meriti e, come accennato, anche delle sue incertezze o possibili errori, è comunque la garanzia che la macchina dello Stato non finisca fuori controllo, che c’è un Timoniere che possiede una bussola precisa e che sa guardarla e orientarsi al meglio. Senza di lui, l’ingentissimo ammontare di risorse che la Ue ci ha dato in misura più alta di qualunque altro Stato europeo minaccerebbe di disperdersi o, peggio che mai, di bloccarsi.
Questa è la situazione, e negarlo è ipocrita. Naturalmente un quadro siffatto carica l’ex presidente Bce di responsabilità pesanti e per certi versi persino improprie. Però l’alternativa è appunto la guerriglia permanente e continui bracci di ferro che portano all’inconcludenza di nessun vincitore e un esercito di sconfitti.
Se le cose stanno così, c’è da farsi venire i brividi alla schiena quando ad inizio 2022 comincerà la sarabanda per l’elezione del successore di Sergio Mattarella. Chiunque avverte che è fondamentale costruire un’intesa tra i partiti maggiori per evitare il collasso dei tempi di Giorgio Napolitano, fa un servizio utile. Antipatie e simpatie in tornanti simili non contano. Conta il risultato.