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Le relazioni green Italia-UK tra G20 e Cop26 di Glasgow

Le relazioni bilaterali tra Italia e Regno Unito, al tempo di Brexit, possono ancora rappresentare un solido ponte per tenere saldi i rapporti tra Bruxelles e Londra e per rinnovare una sempre più intensa cooperazione transatlantica anche in ottica “green”. L’analisi di Mario Angiolillo

Navigare controcorrente: dovrebbe essere questo il consiglio da dare in queste ore ai naviganti della diplomazia italiana impegnati nel canale della Manica.

Ci troviamo infatti in un momento che lascia presagire tempesta nelle relazioni tra Ue e Regno Unito, a seguito delle dichiarazioni del ministro alla Brexit del governo britannico relative alla volontà di rivedere la parte relativa al confine irlandese dell’accordo di Natale che regola le relazioni tra le parti nel post Brexit. Trattandosi di uno dei temi politicamente più spinosi, e sensibili per l’opinione pubblica, dell’intero impianto realizzato per governare la Brexit, la reazione di chiusura della Commissione Ue non si è fatta attendere e l’avvio di un braccio di ferro tra le parti, mascherato da negoziazioni bilaterali, è più che prevedibile.

Eppure mai come in questo momento ci sono le condizioni per intensificare, con soddisfazione dell’intera comunità internazionale, le relazioni bilaterali tra Roma e Londra.

Punto di caduta di questa stagione di cooperazione è la Cop 26, la Conferenza annuale dell’Onu sui cambiamenti climatici, che si terrà a Glasgow, in Scozia, a novembre di quest’anno, e che vedrà come co-presidenti il Regno Unito, presidente di turno del G7, e l’Italia, presidente di turno del G20.

L’Italia ha già dimostrato la propria sensibilità sul tema, con una gestione molto positiva del recente vertice del G20 tenutosi a Napoli.

Le due proposte clou del vertice, ovvero l’impegno a rimanere sotto gli 1,5 gradi di aumento massimo del riscaldamento globale al 2030 e la proposta di eliminare il carbone dalla produzione energetica a partire dal 2025, sono state rigettate per la ferma opposizione di Cina e India.

Il vertice è stato però comunque positivo, anche grazie all’efficace opera di mediazione condotta dal ministro dell’Ambiente italiano, Roberto Cingolani, che ha permesso di fare in modo che nessun Paese mettesse in discussione l’accordo di Parigi e ha creato un importante asse transatlantico visto il forte commitment degli Usa.

D’altronde il governo italiano è fortemente impegnato nel raggiungere il target del Pnrr sulla Missione 2 “transizione ecologica e rivoluzione verde”.

Anche il Regno Unito è fortemente orientato sul tema a seguito dell’approvazione dei Ten Points della Green Industrial Strategy con impegni sfidanti che vanno dallo sviluppo delle energie rinnovabili, alla transizione all’elettrico, alle costruzioni green, alla finanza verde.

Punti focali saranno la decarbonizzazione mediante un sempre più massiccio utilizzo dell’idrogeno e del nucleare, o l’elettrificazione dei veicoli da sostenere anche attraverso la realizzazione di “GigaFactories” in grado di produrre batterie con tecnologia avanzata e su larga scala, o ancora il progetto Carbon Capture, Usage & Storage (Ccus), attraverso lo sviluppo di tecnologie e di impianti per la cattura dell’anidride carbonica da immagazzinare nel sottosuolo. Il piano ha già individuato nel Mare del Nord il luogo ideale per lo stoccaggio. In quest’ottica, la Tata Chemicals Europe (Tce), anche grazie alla sovvenzione di oltre 4 miliardi di sterline da parte del Dipartimento Business, Energy and Industrial Strategy del governo britannico, sta già lavorando al primo impianto di cattura e utilizzo del carbonio.

Una menzione a parte merita in tal senso il tema della finanza verde, con l’Ue che ha già proposto un regolamento per determinare degli standard per il green bond Ue, e il governo Johnson che ha previsto l’emissione di un sovereign green bond collocato sulla Borsa di Londra e la definizione di un sistema di monitoraggio che possa orientare gli investitori verso investimenti ad effettivo impatto green anche attraverso l’attività del Green Finance Institute, finanziato dal governo del Regno Unito e dalla City of London Corporation, che riunisce esperti del settore a livello globale per progettare modelli di sviluppo e progetti finalizzati al raggiungimento dell’obiettivo emissioni zero.

In questo contesto, è pertanto più che auspicabile l’intensificarsi dell’impegno congiunto tra Roma e Londra in vista della Cop 26.

In primo luogo per riproporre il sostegno ad obiettivi ambiziosi finalizzati a migliorare ulteriormente i target dell’accordo di Parigi, e poi per aprire il campo anche ad altri elementi di discussione quali ad esempio la ex carbon-tax, oppure la risoluzione dei problemi legati alla rilocalizzazione delle emissioni, il cosiddetto carbone leakage, o ancora le ricadute sulle politiche commerciali mediante la promozione di una Green Deal Diplomacy attraverso l’inserimento negli accordi commerciali di incentivi e/o di dazi legati alla sostenibilità ambientale dei sistemi produttivi.

Ma una rinnovata cooperazione tra Roma e Londra che parta dalla COP 26 dovrebbe manifestarsi anche nella capacità di fare sistema. Ad esempio in termini di cooperazione industriale, riproponendo e sviluppando il modello adottato da Saipem e Falck Renewables impegnate in Regno Unito nell’Eolico, o da Snam che con la sua partnership con Itm Power è attiva oltre Manica per sviluppare l’idrogeno come fonte di energia.

Oppure sviluppando partnership in progetti di R&S per mezzo di collaborazioni tra università e centri di ricerca.

Senza dimenticare che, nonostante la cessione di Borsa Italiana dal Lseg ad Euronext, le interazioni tra le due piazze finanziarie, in termini di know-how e di infrastrutture di sistema, sono ancora molto forti e permetterebbero di aprire spazi di cooperazione per l’elaborazione di prodotti della cosiddetta finanza verde cui abbiamo fatto cenno in precedenza.

Le relazioni bilaterali tra Italia e Regno Unito, al tempo di Brexit, possono ancora rappresentare un solido ponte per tenere saldi i rapporti tra Bruxelles e Londra e per rinnovare una sempre più intensa cooperazione transatlantica anche in ottica “green”.



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