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Il Pd ha due missioni. Unire il centro e portare Draghi al Colle. La versione di Carlo Galli

Il politologo a Formiche.net: “Capo dello Stato e capo del governo stanno formando un polo in uno stato di necessità molto particolare. In tutto ciò il ceto politico è talmente debole che c’è perfino la possibilità che si cambino completamente i ruoli tra maggioranza e opposizione senza che nulla cambi”

Il Pd non ha molte opzioni in questo momento e non può fare altro rispetto a ciò che ha fatto il segretario, dice a Formiche.net il prof. Carlo Galli, Storico delle dottrine politiche all’Università di Bologna, già deputato dem nella scorsa legislatura. Ovvero lavorare per unire le anime di centro che ci sono in Italia e drenare i voti in uscita dal M5S, sostenendo Mario Draghi nella corsa al Colle.

Il Pd potrà essere il regista che serve per eleggere il nuovo Capo dello Stato?

A occhio e croce no, perché occorrerà una maggioranza che il Pd non riuscirà a mettere assieme. Più facile che il protagonista sia Renzi, come ha già tentato di far capire. I democratici non possono e non vogliono dialogare con la Lega, men che mai con FdI.

Ma occorreranno anche i voti della destra…

Certo, non è pensabile eleggere il nuovo Presidente della Repubblica contro la destra. Quindi mi pare che si possa dire che il Pd sarà solo un comprimario.

La corsa di Gualtieri al Campidoglio potrà rafforzare il Pd di Letta?

Sarà un assist nella misura in cui verrà coronata dal successo, cosa non impossibile ma nemmeno così agevole. Si tratta di andare al secondo turno e non è detto che sia alla portata dell’ex ministro. Il Pd non ha molte opzioni in questo momento e non può fare altro rispetto a ciò che ha fatto il Segretario. Ovvero aspettare con pazienza che il M5S si presenti nuovamente sulla scena politica, in una forma coerente, credibile e relativamente compatta. Dove vuole che vada a prendere i voti, se non lì?

L’ha soddisfatta la guida Letta?

Ci sono cose che Letta avrebbe potuto dire meglio o non dire. Vi sono state alcune scivolate stile Fedez: più che altro servono ad irritare gli avversari, non a produrre un autentica linea politica. In questo momento la linea del Pd non può essere che costruire attorno a sé le condizioni per aggregare le molteplici forze di centro che esistono nel nostro Paese. Sono piccole, ma messe assieme hanno una certa quantità di voti. E in secondo luogo tentare un’allenza, tattica, strategica, convinta o di necessità, con il M5S. Voti di cui ci sarà bisogno.

I distinguo di Conte sulla riforma Cartabia hanno sortito un certo silenzio dal Nazareno. Si rischia di incrinare il rapporto Pd-Draghi?

Questo è un brutto passaggio. La situazione strategica del Pd rende impossibile arrivare ad una rottura con il M5S: sarebbe un suicidio. Sostanzialmente quel silenzio sulla riforma della giustizia indebolisce un po’ Draghi il quale, tuttavia, ha dalla sua un tale tasso di necessità che gli consentirà di uscirne indenne. Molto più che il ddl Zan, è la riforma del processo penale a essere un severo banco di prova della tenuta di questo governo.

Letta sulla giustizia sta con Bonafede o Cartabia?

Sull’adagio di quanto ho appena detto, Letta se incontrerà una posizione molto ferma da parte dei Cinque Stelle, allora preferirà la mediazione e non lo scontro. Ma l’ipotesi di non toccare il testo di Bonafede la considero abbastanza estrema.

Avverte la sensazione che l’intero sistema politico nel suo complesso non abbia colto ancora la straordinaria opportunità data dal governo Draghi che, da tecnico, si è ormai trasformato in politico?

Il governo Draghi non è il governo Monti: vive in una fase della politica italiana caratterizzata da partiti debolissimi. Il sistema politico è in grande difficoltà, mentre al contempo si crea un asse fortissimo tra Capo dello Stato e premier che può spostare il baricentro della politica in modo esplicito sull’esecutivo, non lasciando ai partiti altra chance se non quella di assecondare il governo. Si tratta di una situazione di grave necessità che prefigura una sorta di riforma in senso semipresidenziale di fatto.

Ovvero?

A istituzioni ferme assistiamo a una trasformazione in atto: il Capo dello Stato in asse con il capo del governo stanno formando un polo in uno stato di necessità molto particolare, agendo internamente nel Paese ed esternamente quanto a relazioni internazionali. In tutto ciò il ceto politico è talmente debole che c’è perfino la possibilità che si cambino completamente i ruoli tra maggioranza e opposizione senza che nulla cambi.

Si riferisce alla possibile vittoria delle destre alle prossime elezioni?

Sì. In quel caso gli assi di fondo della politica italiana permarrebbero immutati, ma con la variabile caratterizzata dal Capo dello Stato. Se fossi nel centrosinistra lavorerei per portare Mario Draghi al Colle, l’unico in grado di parare l’eccesso di innovazione che potrebbe venire da una vittoria elettorale dei sovranisti.

@FDepalo

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