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Pier Giorgio Frassati, il tempo e le ferie. Il ritratto di D’Ambrosio

Non solo impegno politico e antifascismo. Questo giovane torinese aveva idee molto chiare, dalla spiritualità profonda, dal cuore grande e dall’intelletto vigile. Fede rara, ieri come oggi

 

Lo chiamavano lo “studente che corre sempre”: Pier Giorgio Frassati (1901-1925) fu un giovane torinese di rara ricchezza umana e cristiana. La sua fu una vita vissuta in pienezza, nonostante la brevità. I suoi appena ventiquattro anni furono un ricchissimo mosaico d’attività: dalla ricca esperienza familiare alla scelta universitaria nella facoltà di ingegneria mineraria, dall’impegno sociale e di volontariato alla matura attività politica di marca sturziana e antifascista, all’adesione a gruppi ecclesiali. E tutto in continuità, perché Pier Giorgio non cercò né evasioni, né distrazioni (che poteva permettersi) per sentirsi vitale, ma tutto aveva valore perché erano chiare le scelte di fondo. Ora che, dopo la pandemia, abbiamo tanta voglia di evadere, la domanda sulle scelte di fondo ci sta eccome.

Il suo era tutto un correre finalizzato ad amare ed assistere meglio i poveri. Scrive nel 1925: “La Carità, senza di cui, dice S. Paolo, ogni altra virtù non vale. Essa sì che può essere di guida e d’indirizzo per tutta la vita, per tutto un programma. Essa con la Grazia di Dio può essere la meta a cui il mio animo può attendere. Ed allora noi al primo momento siamo sgomenti, perché è un programma bello, ma duro, pieno di spine e di poche rose, ma confidiamo nella Provvidenza Divina e nella Sua Misericordia”. La pienezza del tempo per Pier Giorgio era spendersi per gli altri. Di esso conosceva molto bene le molte spine e le poche rose. Non si può dimenticare che Pier Giorgio matura questa vocazione in un ambiente cittadino ostile alla fede e in comunità cristiana non sempre all’altezza della sua missione. “Certe conferenze di S. Vincenzo – dirà Frassati – le abolirei. Quando vi sono uomini che pur essendo pieni di zelo cristiano, di fronte alle difficoltà preferiscono lasciar perdere, è meglio che la conferenza non esista”.

Non c’è niente di filantropico o decadente nel suo amore per gli ultimi. Conosce i poveri e la loro puzza, aiuta gli amici a superarla, gira sempre senza denaro perché non dice mai di no a chi ha bisogno. Si impegna nel Ppi di Sturzo e professa fede popolare e democratica con la stessa coerenza morale e passione con cui serve gli ultimi. Pier Giorgio fin dagli inizi è “visceralmente antifascista”, dirà la sorella, fino a preferire in certo modo i comunisti: “Questi agiscono per elevare la classe operaia – dirà – ma i fascisti che ideali hanno? Il vile denaro!”. Non aderisce al fascismo neanche quando questo si mostra (falsamente) religioso. Per lui fascismo e cristianesimo restano incompatibili; per questo motivo condanna come traditori tutti quei preti e laici che aderiscono al Fascio. È il Frassati dalle idee molto chiare, dalla spiritualità profonda, dal cuore grande e dall’intelletto vigile che è sempre e dovunque se stesso. Senza soluzione di continuità. Fede rara, ieri come oggi. Se si pensa che diverse biografie di Frassati riportano solo rapidi e banali riferimenti al suo impegno politico e antifascista, come ai suoi amori giovanili. Non c’è da meravigliarsi: è il perbenismo cattolico borghese che, a distanza di un secolo, continua a proporre modelli di cattolicesimo disincarnato, frequentatore di potenti e dei loro traffici politici ed economici, pronto solo a condannare chi difende gli ultimi, lontano miglia dal sentirne la loro puzza. Non è semplicemente l’essere pro o contro Francesco è lo snaturamento della fede e dell’impegno cristiano, che porta a derive dove il credere è solo una casacca ideologica per qualche battaglia sociale o politica, o ,peggio, interessi di bottega, tra denaro e potere. Sono i nuovi “atei devoti” (B. Andreatta).

Un ultimo aspetto. Frassati sapeva bene che questo dedicarsi al prossimo passava attraverso un ritornare in se stesso per attingere forze. Di qui l’amore per la campagna e la montagna. “Ogni giorno che passa – dichiara in un’intervista nel 1921 – mi innamoro perdutamente della montagna. Il suo fascino mi attira”. E più avanti ritorna sul bisogno della campagna e dell’appartarsi per potersi concentrare. In altri termini il tempo del riposo ha valore e spessore solo se non è fuga ma è orientato a ritrovarsi, a rimotivarsi per vivere più in pienezza. Non sempre è così per noi: il nostro correre anela alla sosta più per dimenticare ed evadere e non sempre per rinfrancarsi, specie dopo (?) la pandemia. Nell’ultima gita in montagna, nel giugno del 1925, aveva scritto, su una foto che lo ritraeva mentre scalava una roccia, “verso l’alto”. Questa grande meta, come scrisse di lui un amico, fa di Pier Giorgio “un aiuto potente ad uscire dall’angustia morale del tempo borghese”.


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