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Pnrr e riforma fiscale. Tutti i punti da risolvere secondo Paganetto

Il presidente della Fondazione Economia Tor Vergata e coordinatore del Gruppo dei 20 analizza le questioni aperte in materia fiscale. Finalmente sono state trovate delle convergenze in Parlamento sul superamento dell’Irap e sul trattamento omogeneo dei redditi da capitale. Ma resta ancora molto da fare, e in questo momento lo Stato non ha risorse per ridurre la pressione

Il Presidente Draghi, nel suo discorso alle Camere, ha sottolineato l’importanza del tema fiscale. Le Commissioni di Camera e Senato sulla Riforma hanno presentato di recente un rapporto conclusivo frutto di un lavoro impegnativo e certamente utile al Governo, per la redazione della legge delega, attesa in questi giorni. È un testo che si raccorda con le indicazioni del Pnrr ed è stato approvato in maniera quasi unanime.

Ciononostante, la Riforma fiscale rimane una sfida difficile con molti punti che rimangono in discussione.

Il primo riguarda il modo in cui si darà concretamente corpo ai principi di semplificazione, conoscibilità e certezza dell’obbligo fiscale. Si tratta di una questione prioritaria per cambiare il rapporto del cittadino con il fisco. Sarà importante, come detto nel Pnrr, la raccolta e la razionalizzazione della legislazione fiscale in un testo unico, che assicuri la stabilità delle norme. Non si può non essere d’accordo con E.M. Ruffini, Direttore dell’Agenzia delle Entrate, quando osserva che il problema della Riforma non è solo quale mix di imposte scegliere, ma quello di semplificare una giungla di 800 norme, troppe volte modificate e spesso incomprensibili, che rendono difficile assolvere l’obbligo fiscale. Se la figura del cittadino verrà prima di quella del contribuente, faremo un serio passo avanti sulla strada della Riforma. Si tratta di questioni della massima importanza, che è però facile prevedere incontreranno forti resistenze al cambiamento, quando dovranno prendere forma di legge.

Il secondo profilo è quello del mix della tassazione.

La scelta della Commissione ci restituisce l’immagine dell’equilibrio tra le forze politiche del Parlamento, che hanno trovato l’accordo su una modifica parziale dell’Irpef, con l’attenuazione della tassazione a favore del ceto medio, inteso come quello con un reddito tra 28 e 55mila euro l’anno, nonché su un sistema di dual income tax con le altre imposte collocate in regime di proporzionalità, con un’aliquota convergente verso quella minima Irpef (è una novità interessante) e sulla non cumulabilità agli effetti fiscali delle differenti tipologie di reddito.

Rimane aperta la questione della incorporazione nell’Irpef dei tanti “bonus”, nonché della definizione delle aliquote effettive che ne conseguono, tanto più che la platea dei percettori di più bassi redditi, che pagano il 23% fino alla soglia di 15.000 euro, rappresentano circa i 2/3 del numero totale dei contribuenti. Ci sarebbe poi bisogno di una maggiore equità, anche rispetto ai redditi più elevati (basta pensare che si paga il 41% per un reddito di 300.000 euro e il 42,7% per un reddito di tre milioni). L’ipotesi, che pure è stata considerata, ma non ha trovato il necessario consenso, è quella di un’aliquota continua, alla tedesca.

La novità maggiore che esce dai lavori delle Commissioni è però che tra gli obbiettivi prioritari della Riforma vengono considerati il sostegno all’occupazione e allo sviluppo. È una svolta rispetto alla visione meramente redistributiva dell’intervento fiscale finora prevalente, ma ci sono alcuni aspetti critici.

Il primo riguarda proprio il tema dello sviluppo. Al di là degli incentivi diretti a correggere la tassazione per le piccole/piccolissime imprese, la semplificazione dell’Ires e il suo orientamento a favore della crescita dimensionale di impresa, non vengono indicate le priorità da adottare in termini fiscali. Manca una interpretazione del cambiamento in atto nella dinamica dell’economia a livello nazionale ed internazionale e del che fare a livello fiscale.

Se si pensa, come ritengono autorevoli studiosi, che il fenomeno della insufficiente crescita e della stagnazione delle economie occidentali sia legata a demografia ed invecchiamento della popolazione, occorre intervenire anche a livello fiscale per contrastare la denatalità ed evitarne le conseguenze sul mercato del lavoro e sulla sostenibilità dell’welfare. Qui abbiamo una scelta già fatta, quella dell’assegno unico universale da poco istituito. Si tratta di una scelta benvenuta, ma che avrà effetti sul mercato del lavoro, in particolare femminile, difficili da prevedere. Molta parte dei suoi effetti dipenderanno da come sarà realizzato e, comunque, ci si deve chiedere se essa non debba essere associata a strumenti fiscali più efficaci nel contrasto alla bassa partecipazione femminile al mercato del lavoro e alla denatalità.

Ancora in materia di sviluppo vanno considerate le conseguenze dell’effetto trasformativo della transizione green e di quella digitale che, certamente benvenute, avranno effetti anche sulla struttura complessiva del prelievo. Si tratta di un fenomeno di grande importanza che investirà nei prossimi anni le economie europee e che andrà gestito anche attraverso lo strumento fiscale. È assai significativo che la Commissione EU, in vista di questo effetto trasformativo, abbia stanziato 19 miliardi per il Transition Fund e proposto di istituire un Fondo sociale di 72 miliardi in seguito raddoppiabili. Va tenuta presente l’estensione della tassa sulla CO2, sia a livello interno, che alle frontiere. Senza contare che il debito Ue, legato al finanziamento di NextGeEU ci costringerà, presto o tardi, a fronteggiarne le esigenze attraverso risorse proprie del bilancio comunitario, come la digital tax e la plastic tax.

Quello che è chiaro è che in Europa, dopo tanto discuterne, stiamo marciando verso una fiscalità comune e sarebbe quanto mai opportuno tenerne conto nel costruire l’impalcatura della Riforma tributaria, avendo presente, ad esempio, la discussione in corso a livello internazionale di un’imposta minima sugli utili da adottare a livello Europeo.

Un secondo aspetto è quello delle coperture che si rendono necessarie per il minor introito che conseguirebbe dalla revisione dell’aliquota per il ceto medio. Il Ministro Franco ha di recente dichiarato che non ci saranno a disposizione per la Riforma risorse significative. Ciò significa che, vista l’impossibilità di finanziare la modifica in deficit o con l’uso dei fondi europei, si tratta di trovare le coperture.

Se si procedesse, come sarebbe auspicabile, alla razionalizzazione e soppressione delle spese fiscali detraibili, che costituiscono una giungla inestricabile e sono godute, in genere, dai percettori di più elevato reddito, procederemmo nella direzione dell’equità. Ciò che rende assai difficile la loro soppressione è il legame con il fenomeno della cattura del consenso da parte delle forze politiche.

La difficoltà di trovare coperture per la riduzione degli introiti fiscali da Irpef è accentuata dalla facile previsione che la spesa pubblica, nel prossimo futuro, è destinata a crescere piuttosto che a diminuire. Basta pensare al riguardo non solo alle esigenze prioritarie di Scuola e Sanità, ma anche a quelle di interventi a favore dell’occupazione e delle tante imprese messe in difficoltà dalla crisi pandemica. Non si può pensare, dunque, che la copertura venga da una diminuzione della spesa pubblica.

Va detto, infine, che la forte domanda di riduzione della pressione fiscale presente nel Paese è assai difficile da soddisfare in questo momento.

Appare perciò realistica la risposta della Commissione di puntare ad un intervento parziale sull’Irpef che, peraltro, esige una copertura che si può trovare solo in un maggior successo nella lotta all’evasione, se non si vorrà ricorrere a un ridisegno delle aliquote Iva, visto che è irrealistico pensare alla tassazione del patrimonio già in atto nel Paese, sia a livello mobiliare che immobiliare, a livelli comparabili con quelli degli altri paesi europei.

Oltre tutto va detto che, in un momento come quello in cui viviamo, dove domina l’incertezza, vanno evitate scelte capaci di aumentare le preoccupazioni sul futuro per famiglie e imprese. Non solo. Ma non va dimenticato che i sistemi fiscali sono in concorrenza tra di loro e ne va tenuto conto per il buon andamento della nostra economia. Sull’Iva vanno ricordate le sollecitazioni che da molti anni riceviamo dalla EU per uno spostamento del peso della nostra tassazione verso l’imposizione sui consumi.

La buona notizia è che convergenze sono state trovate nelle Commissioni: sul definitivo superamento dell’Irap e sul trattamento omogeneo dei redditi da capitale.

La vera questione aperta è quella, sul lato delle entrate, del cuneo fiscale sul lavoro e il relativo prelievo contributivo. La sua riduzione, come sappiamo, può essere un fattore importante per l’occupazione e la ripresa della nostra economia. C’è da augurarsi che l’approccio gradualistico annunciato dal Governo per la riforma consenta di tenerne conto.

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