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Anche il Qatar avrà un suo Parlamento. Segnali di un Golfo che cambia

Un Parlamento eletto si insedierà a Doha in ottobre. Sebbene con la sola funzione consultiva, il Qatar sceglie di dotarsi di un’istituzione elettiva come fatto dal Kuwait lo scorso anno. Segnali di una maggiore disponibilità a mettersi in discussione sui temi dei diritti da parte di Paesi intenzionati a giocare su partite internazionali

Il Qatar avrà il suo primo organo elettivo: il voto di ottobre, previsto già dal referendum del 2003, eleggerà due terzi dei 45 membri del Consiglio consultivo della Shura. La legge approvata in questo giorni garantirà comunque all’emiro Tamim bin Hamad al-Thani di mantenere il pieno controllo del Paese. L’organo avrà poteri consultivi, e i candidati a comporlo (over-30) dovranno comunque passare uno scrutinio preventivo del governo centrale (ossia della famiglia regnante). In più il ruolo degli eletti sarà quello di esprimere la propria opinione non vincolante sulle politiche in discussione all’interno dell’esecutivo e sul budget dello Stato; il Consiglio non avrà invece voce su materie come la difesa, la sicurezza, le policy economiche e gli investimenti.

Tuttavia tra pochi mesi, per la prima volta, i qatarini con un’età maggiore di 18 anni, e la cui cittadinanza sia accertata da due generazioni, potranno esprimere il voto per un’istituzione centrale. In Qatar non esiste la possibilità di associazione politiche (i partiti sono vietati per legge), tuttavia esiste la possibilità di voto ma solo per organi locali. In sostanza soltanto il 10 per cento dei residenti potrà partecipare alle elezioni nelle 30 circoscrizioni in cui è stato diviso l’emirato – la cui popolazione è composta per larga parte di lavoratori stranieri. È comunque un passo in avanti verso una qualche forma di apertura: un segnale di come nel Golfo le cose stiano evolvendo, che arriva a sei mesi dalla riconciliazione di Al Ula, l’evento più importante dell’anno per il Golfo Persico con il quale sono stati normalizzati i rapporti tra Doha e il Consiglio di cooperazione Golfo, dopo il blocco delle relazioni e l’isolamento totale del giugno 2017.

Il Qatar e altri attori regionali sono interessati a giocare un ruolo su partite internazionali e per questo si mostrano disponibili a forme di cambiamento (che siano la riconciliazione o la transizione energetica, oppure tentativi per la maturazione di porzioni di diritti). Sotto il profilo dei poteri parlamentari è il Kuwait il paese più avanti: dal 15 dicembre 2020, i 50 membri eletti del Majlis al-Umma (l’Assemblea Nazionale) hanno facoltà di rimuovere i ministri, anche il primo ministro, e il loro compito è sostanzialmente quello di un’azione di ostruzionismo al governo – fermo restando che l’intero processo decisionale resta in mano al sovrano. Anche gli Emirati Arabi Uniti hanno da tanti anni un organo simile a quello progettato dal Qatar, l’al-Majlis al-Watani al-Ittihadi o Consiglio federale nazionale, che anche in questo caso ha solo compito consultivo. Sono evoluzioni lente di un mondo che tuttavia sembra quanto meno interessato ad aprirsi, e che con le nuove generazioni accetta più facilmente di mettersi in discussioni.



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