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Un fedelissimo di Xi a Washington. Profilo del nuovo ambasciatore cinese

Dopo il gelo di marzo in Alaska e le tensioni del vertice diplomatico di ieri a Tianjin, oggi è atteso a Washington il nuovo ambasciatore cinese Qin Gang, un fedelissimo del leader. In cima alla sua agenda il possibile faccia a faccia Xi-Biden al G20 di Roma a ottobre

Qin Gang, il nuovo ambasciatore cinese negli Stati Uniti, è atteso nelle prossime ore a Washington, all’indomani della complessa visita nella Repubblica popolare di Wendy Sherman, numero due del dipartimento di Stato americano, per alcuni incontri a Tianjin con i vertici della diplomazia cinese, tra cui il ministro degli Esteri Wang Yi e il vice Xie Feng. A rivelarlo è il South China Morning Post, giornale di Hong Kong un tempo molto letto dagli attivisti pro democrazia nell’ex colonia britannica, oggi vittima della stretta repressiva e censoria cinese.

IL PROFILO

Qin, 55 anni, prenderà il posto di Cui Tiankai, che a 68, raggiunta l’età pensionabile per gli ambasciatori cinesi, ha lasciato gli Stati Uniti lo scorso mese come il più longevo ambasciatore di Pechino a Washington. Fu inviato dal presidente Xi Jinping nel 2013.

IL CURRICULUM

Anche quella di Qin, diplomatico di carriera che dal 2018 ricopre la carica di viceministro degli Esteri, è una scelta diretta del leader. Un po’ a sorpresa, visto che il suo curriculum, in cui figurano affari europei, informazione e protocollo di Stato, non c’è traccia di esperienze con gli Stati Uniti. Sarebbe il forte legame con Xi, rafforzato nei molti viaggi in cui il viceministro ha accompagnato il presidente, ad aver spianato la strada verso Washington a Qin.

INGLESE E CRITICHE FLUENTI

Qin, che parla fluentemente l’inglese, è stato per due volte portavoce del ministero degli Esteri di Pechino tra il 2006 e il 2014. In quelle occasioni si è fatto notare per una difesa aggressiva della Cina che oggi potremmo definire da “lupo guerriero”. Vedremo se tornerà a quello stile nonostante le tensioni tra i due Paesi non sembrano destinate a placarsi neppure con Joe Biden alla Casa Bianca. Anzi, il presidente statunitense, sostenuto anche da un consenso bipartisan nel Paese e al Congresso, appare deciso a proseguire la linea dura del predecessore Donald Trump. Su tutto, tranne che un tema: il clima, questione “critica” ma “a sé stante” come dichiarato dall’inviato presidenziale John Kerry all’indomani dell’insediamento della nuova amministrazione statunitense a gennaio. Lo dimostrano gli sforzi per raggiungere un’intesa al recente G20 Clima di Napoli.

GLI ULTIMI INCONTRI

Qin arriverà a Washington da Shanghai, dove ha dedicato gli ultimi giorni a incontri con dirigenti d’azienda americani, ha detto una fonte al South China Morning Post. Tra questi, rappresentanti della Camera di Commercio americana, di Disney, di Honeywell e di Johnson & Johnson. Ma il futuro ambasciatore ha anche incontrato esperti cinesi di relazioni sino-americane e i vertici della Universal Studios a Pechino.

LA SCELTA USA

Gli Stati Uniti dovrebbero nominare prossimamente Nicholas Burns, diplomatico di carriera e professore a Harvard, come ambasciatore in Cina. Quello di Burns è stato uno dei primi nomi a circolare ma, a differenza di diversi altri, non è ancora stato ufficializzato dalla Casa Bianca.

PROSSIMA TAPPA: ROMA?

Nonostante il gelo dell’incontro di marzo in Alaska e le recentissime tensioni di Tianjin, le diplomazie americana e cinese sono al lavoro per organizzare il primo incontro tra i due presidenti, che dovrebbe avvenire in territorio neutrale, a margine, al margine del G20 di ottobre. Secondo il sinologo Francesco Sisci, però, dopo quanto accaduto bisogna aspettarsi “ancora un aumento delle tensioni” e in vista del G20 è “molto improbabile” un vertice tra Biden e Xi a margine del summit ed “è possibile che Xi non venga proprio a Roma”. Il vertice rischia, ha detto Sisci all’Adnkronos, “di non essere un incontro sul rilancio dell’economia globale” dopo la pandemia di Covid-19, “ma di testimoniare una spaccatura tra Paesi con e contro la Cina, con e contro gli Stati Uniti”. E, ha aggiunto il professore di geopolitica alla Luiss, “se la questione cinese diventasse centrale nel G20 a Roma, questo sottolineerebbe la centralità della questione cinese per la politica italiana che finora non è stata tanto abile a gestirla”. C’è una “difficoltà dell’Italia a gestire la questione cinese”. E, ha concluso, “gli errori del passato rischiano di pesare moltissimo sul presente e sul futuro”.

(Foto Twitter, @PolandMFA: Qin Gang, a destra, incontra il ministro degli Esteri polacco Jacek Czaputowicz nel 2019)


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