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Il recupero crediti è impossibile se l’azienda fallita ha investito in criptovalute

Di Lorenzo Santucci

Oltre ai rischi di riciclaggio e corruzione, le criptovalute possono causare perdite “illimitate” per i creditori e per gli Stati che devono riscuotere le tasse. Il caso Binance, le scommesse con leva finanziaria, gli arresti in Cina e la sfida per regolamentare il mondo delle monete costruite su blockchain

Dietro la decisione del Regno Unito di bloccare ogni attività della piattaforma di criptovalute Binance sul suo territorio sembrava nascondersi la paura di eventuali transazioni illecite, oscurate dal sistema blockchain e quindi impossibili da tracciare. Un mese dopo la presa di posizione partorita dall’autorità di regolamentazione finanziaria Finance Conduct Authority (FCA), il timore è stato confermato. Per il fallimento delle aziende che utilizzano ed accettano pagamenti in criptovalute, infatti, il rischio che il governo britannico possa subire perdite “illimitate” è più di una semplice ipotesi.

A rendere pubblica la preoccupazione è stata Julie Palmer, amministratore delegato di Begbies Traynor, società specializzata in ristrutturazioni aziendali e insolvenze: quando un’azienda fallisce, commissari e liquidatori non potrebbero monitorare il flusso di denaro ed eventuali irregolarità, come truffe, riciclaggio e similari, se compiute attraverso criptovalute. “Il governo perderebbe una grossa fetta di entrate fiscali”, potenzialmente “illimitate”, spiega Palmer, che sottolinea come l’unico modo per scongiurare questa possibilità sia quello di modernizzare l’apparato legislativo con norme che prevedano la tassazione e la regolamentazione delle monete digitali, sempre più utilizzate.

La palla passa quindi alle autorità britanniche, che sul tema sarebbero “uno o due anni indietro” rispetto agli Stati Uniti. Ma si tratta di un campo nuovo, in continua evoluzione e molto scivoloso. “Puntiamo a identificare e indagare su coloro che non hanno dichiarato tutti i loro ricavi e utili, una categoria che include individui che operano nell’economia sommersa fino a sofisticati gruppi della criminalità organizzata e strutture offshore utilizzate per nascondere fondi e altri beni”, fanno sapere dall’HM Revenue and Custums, una sorta di Agenzia delle Entrate inglese. Che ha pubblicato uno studio sui risvolti fiscali delle criptovalute. Il Ministero del Tesoro, che studia il fenomeno in stretta collaborazione con la Bank of England, non esclude di far entrare le criptovalute nel sistema monetario ufficiale attraverso l’emissione di un asset emesso dalla banca soprannominato Britcoin. Un’idea criticata da Andy Haldane, capo economista della banca centrale, scettico sulla possibilità che le criptovalute attualmente in circolazione possano diventare un mezzo di pagamento standard.

Le mosse delle autorità hanno avuto un certo effetto sulle aziende. Jeff Bezos si è sbrigato a chiarire come Amazon non abbia alcuna intenzione di iniziare ad accettare pagamenti in bitcoin entro la fine dell’anno né tantomeno di creare una sua moneta digitale, smentendo di fatto una voce che aveva permesso alla monete di schizzare sopra i 40mila dollari – quando solo domenica il prezzo si assestava sui 30mila – e che ha fatto registrare un calo del 5%. Anche se più che un abbandono di questa possibilità si tratta di una frenata, con Bezos sempre molto attivo e impegnato nel capire meglio il funzionamento del sistema delle criptovalute.

Ma la notizia principale arriva dalla FTX Trading, tra i più grandi exchange di criptovalute in circolazione, che ha deciso di porre un freno all’attività di trading ad alto rischio, riducendo la leva finanziaria che permette agli investitori di moltiplicare – o dividere, ovvio, se le cose vanno male – i derivati, ovvero le scommesse che vengono effettuate sull’andamento futuro dei prezzi dei bitcoin, generando così fluttuazioni pericolose. Poche ore dopo, il virtuosismo della FTX con a capo il ventinovenne miliardario Bankman-Fried è stato emulato proprio dal fondatore e Ceo della Binance, Chanpeng Zhao. Con un annuncio su Twitter, infatti, il Ceo ha dichiarato che la leva sarebbe stata limitata inizialmente per i nuovi clienti per poi essere gradualmente estesa a tutti coloro che fanno parte della più grande compagnia di exchange al mondo con sede alle isole Cayman.

Bankman-Fried ha tenuto a sottolineare come, da parte sua, l’azienda abbia sempre incentivato a un trading responsabile e che solo una piccola parte dei suoi clienti tenda a sfruttare il massimo dalla leva finanziaria. Anzi, secondo il Ceo di FTX toglierla definitivamente causerebbe delle lamentele da parte degli investitori, anche se ammette come questa “potrebbe essere la cosa giusta da fare”. Una pratica che ha permesso a molti investitori di arricchirsi con le loro previsioni ma che li rende contemporaneamente vulnerabili a qualsiasi variante esterna. Se, quindi, l’abbandono totale potrebbe provocare un probabile disincentivo del trading, è allo stesso modo fuor di dubbio come continuando a percorrere tale strada il mercato delle criptovalute si attiri di dosso gli occhi dei vari governi nazionali, che richiedono un maggior controllo.

A quello del Regno Unito sulla piattaforma Binance, per esempio, hanno fatto da eco le Isole Cayman, Hong Kong (una delle maggiori realtà per il mercato asiatico delle criptovalute), Thailandia, Polonia, Lituania e anche Italia, come testimonia la stretta della Consob. La Commissione ha invitato a “prestare la massima attenzione” sull’azienda di Chanpeng Zhao, che non sarebbe autorizzata a prestare servizi e attività di investimento sul nostro territorio. Da sottolineare, però, come al passo indietro della FTX e Bilancer, due leader nel mercato, vi sia l’immobilità delle restanti aziende, come la Phemex e la BitMEX la cui leva finanziaria domenica permetteva di moltiplicare ancora per 100.

Un segnale, poi, è giunto anche da Bruxelles. La commissaria per i servizi finanziari, Maireàd McGuinnes, ha presentato una proposta che prevede la messa al bando dei portafogli anonimi, obbligando i clienti a sottostare a una maggiore tracciabilità, e l’istituzione di una nuova autorità antiriciclaggio che fungerebbe, tra le altre, da raccordo tra i vari Paesi membri. “Questo identifica chi sta inviando, chi sta ricevendo e consentirà a tutti noi di monitorare le transazioni sospette”, ha dichiarato la commissaria irlandese. La proposta è arrivata in seguito all’indagine congiunta degli organi competenti sulla multinazionale danese Dankse Bank, attiva in servizi bancari e finanziari. All’azienda con sede a Copenaghen sono stati infatti contestati 200 milioni di transazioni sospette, passate per una sua piccola agenzia in Lituania.

Pertanto, in attesa di una regolamentazione più precisa, quella delle autorità rappresenta l’azione più immediata. Come dimostra la decisione presa dal governo di Pechino di rendere illegale l’attività di mining, attraverso cui le criptovalute vengono immesse nel mercato, in virtù del concreto rischio di operazioni illecite e dell’alta insostenibilità ambientale – della stessa opinione è stato perfino il padre dei bitcoin, Elon Musk, causando un terremoto che ha fatto perdere il 16% del valore della moneta.

Risalgono a un mese e mezzo fa gli oltre 1.100 gli arresti di persone accusate di aver utilizzato criptovalute per riciclare il denaro frutto di truffe telefoniche e su internet: secondo le autorità cinesi, l’attività illegale prevedeva un addebito di commissioni che oscillavano tra l’1,5% e il 5% sugli introiti scambiati in criptovalute. Un’operazione in linea con i risultati dell’analisi della China’s Payment & Clearing Association, in cui è emerso come i crimini che riguardano monete digitali siano in crescita, soprattutto per quel che riguarda il gioco d’azzardo il cui 13% dei siti supporta l’utilizzo di valute simili.

Da notare come la stretta del governo cinese si collochi in un momento cruciale per il riconoscimento tecnologico che il Dragone sta cercando di ottenere a livello internazionale. Non per niente, il Blockchain-based service network (Bsn), il piano statale per un servizio di blockchain per sviluppare l’economia digitale, è stato diffuso poco più di un anno fa, mentre a inizio giugno sono state presentate dall’Information Technology e dal Cyberspace Affairs le linee guida da seguire per fare della Cina il leader mondiale della blockchain.

Quest’ultima risulta essenziale, tra l’altro, nell’attività di cyberspionaggio, totalmente inefficace senza un rapido accesso a un sistema di copertura blockchain. Interessante è quindi il risvolto che la guerra ingaggiata da Pechino può avere in questo senso. Giusto una settimana fa, da Washington prima e dalla Nato subito dopo, sono piovute accuse per il governo di Xi Jinping, reo da parte loro di aver collaborato con gli hacker negli attacchi informatici a livello globale. Se si preferisce non parlare di arma a doppio taglio, quella di Pechino appare perlomeno come una mossa curiosa e probabilmente distopica.

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