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Cosa spiega del Golfo l’incontro tra Renzi e al Thani

L’ex premier italiano fotografato sullo yacht di al Thani racconta quanto il Qatar tanto gli altri Paesi del Golfo in questo momento vogliono giocare le proprie carte a livello internazionale, anche creando connessioni con i leader politici occidentali

Al di là del valore assolutamente relativo delle automatiche polemiche politiche interne, l’incontro tra il leader di Italia Viva, l’ex premier Matteo Renzi, e l’emiro del Qatar Hamad bin Jassim bin Jaber Al Thani racconta molto altro. Se letto infatti dal lato qatarino e in un’ottica analitica della regione, rappresenta una dimostrazione di come certi attori siano interessati a interpretare un ruolo internazionale.

Doha è tra questi. L’incontro sardo inoltre aggiunge un tassello alla ricostruzione delle dinamiche interne a una regione articolata che fa da spalla orientale del Mediterraneo Allargato. Area questa di dinamizzazione degli affari geopolitici che riguardano l’Italia e contemporaneamente di proiezione degli interessi di Roma.

Il Qatar dimostra di volersi muovere nella diplomazia internazionale sfruttando vari contesti, sia scenari di crisi in cui porsi come mediatore, sia i contatti con leader come Renzi a cui offrirsi come interlocutore. Lo stesso fanno l’Arabia Saudita o gli Emirati Arabi, potenze economiche regionali sempre più orientate a far valere le loro capacità di spostare investimenti sotto il profilo strategico e dunque geopolitico.

Complice anche la necessità stringente di differenziarsi dal mondo degli idrocarburi – necessità dettata dall’avvio irreversibile a ritmi via via crescenti della transizione energetica. Non solo sotto il quadro economico, questi paesi hanno come priorità quella di trovare il modo per raccontarsi e dimostrarsi sul palcoscenico globale come qualcosa di più di enormi serbatoi di petrolio e gas. Devono, o meglio vogliono, crescere pensandosi già in un mondo un cui quelle materie prime saranno elementi superati.

Per esempio, a metà luglio il ministro degli Esteri qatarino Abdulrahman bin Jassim Al Thani ha trascorso più di una settimana negli Stati Uniti prima di rientrare a Doha passando da Teheran. Il capo della diplomazia del Qatar, nonché membro della famiglia regnante (titolo superiore al ruolo nel governo) ha incontrato prima il segretario di Stato, Antony Blinken, a Washington, e poi l’omologo iraniano, Javad Zarif, nella Repubblica islamica. In ballo ci sono i negoziati sulla ricomposizione dell’accordo nucleare Jcpoa, e più in generale le relazioni Usa-Iran.

Si tratta di un tema regionale piuttosto importante, soprattutto ora che Zarif e il governo pragmatico-moderato a cui appartiene lasceranno il posto alla presidenza conservatrice del neo-eletto Ebrahim Raisi. Il Qatar si è da tempo proposto come mediatore tra Washington e Teheran, due paesi con cui ha connessioni profonde e sostanzialmente imprescindibili; il Pentagono ha ad al Udeid il proprio hub in Medio Oriente, l’Iran condivide col Qatar il più importante reservoir gassifero del mondo (ed è vera la transizione energetica, ma l’importanza del gas non svanirà in breve tempo).

Un ruolo simile i diplomatici qatarini lo hanno già occupato con le negoziazioni tra americani e Talebani per creare una cornice all’uscita dei militari americani dall’Afghanistan. Contemporaneamente gli Emirati Arabi provano a giocare le proprie carte sulla disputa geopolitica della diga sul Nilo (la Gerd), mentre ancora prima hanno acconsentito alla normalizzazione dei rapporti con Israele (altro fattore di rilievo per il quadro regionale) e si sono spinti fino ad arrivare a intensificare i rapporti con l’India (dove si trova Blinken in questi giorni).

Il Golfo è attivissimo, e lo sarà ancora di più nei prossimi mesi se si considera che diventerà catalizzatore dei contatti internazionali che ruotano attorno a due eventi di soft power come l’Expo di Dubai e i Mondiali di Calcio in Qatar. Nella regione l’amministrazione statunitense intende muovere un flusso di stabilizzazione, chiedendo agli attori più importanti e ai paesi europei più influenti (come l’Italia) di impegnarsi a mantenere gli equilibri e trovare soluzioni alle crisi. L’attivismo con i politici europei (o statunitensi) di qatarini, sauditi, emiratini non è una novità, ma in questa fase è logico aspettarsi una spinta nei rapporti e nei contatti.


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