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Se i Cinque Stelle appaltano la protesta a Salvini e Meloni. Parla Maffettone

Parla il professore di Filosofia Politica alla Luiss: dalla mediazione fra Grillo e Conte esce un solo leader, Luigi Di Maio. Il Movimento ha abbandonato la protesta, ora è una prerogativa della destra. Solo lì si spostano voti, Renzi lo ha capito e sul Ddl Zan…

La tregua fra Giuseppe Conte e Beppe Grillo mette un cerotto all’emorragia di consensi dei Cinque Stelle e incorona Luigi Di Maio come vero leader, dice Sebastiano Maffettone, tra i padri della filosofia politica italiana, professore alla Luiss. Ma, avvisa, non scioglie il vero nodo per la sopravvivenza del Movimento: “Ha smesso ormai da tempo di incarnare la protesta. Che ora si è spostata a destra, e alla destra continua a regalare voti”.

La tregua è una buona notizia per Draghi?

È una buona notizia in sé, un movimento fluttuante e ribollente non serve a nessuno.

Conte è il vero leader?

Niente affatto. Il vero leader è Luigi Di Maio.

Il mediatore?

Appunto. Chi riesce a mediare fra due estremi e trovare un compromesso diventa automaticamente leader. Se c’è una verità che emerge da questo accordo è che Di Maio conta più di Conte.

Crisi archiviata?

Tutt’altro. Dietro ai rigurgiti, ai sussulti di queste settimane c’è la perdita di una funzione essenziale del Movimento.

Cioè?

Non rappresenta più la protesta. Fra tante gaffe, incompetenze e dilettantismo ho sempre riconosciuto un merito ai Cinque Stelle: se il 30-40% del Paese non è d’accordo con chi ha il potere, qualcuno deve pur dargli voce. E spostare la protesta dalle piazze al Parlamento è un bene per tutti, perché tenere un contropotere per le strade è pericoloso.

Adesso?

Adesso quella funzione si è esaurita. Ammaliati dal fascino del potere, hanno smesso di rappresentarla. Sono la nuova Dc, nel bene e nel male. Questo spiega l’esistenza di una fascia di insoddisfatti nel Movimento, alla ricerca di chi può raccogliere quel testimone, magari Alessandro Di Battista.

E Conte?

È stato commissariato dalla tregua siglata da Di Maio. È pericoloso, perché ha risentimenti personali e una discreta voglia di rivincita. Dovrebbe sfogarla con Renzi, più che con Draghi. Se il governo come penso arriva al 2023, Conte è fuori dai giochi. La sua gloria, effimera, è stata indissolubilmente legata alla pandemia.

Che fine fa l’alleanza fra Pd e Cinque Stelle?

Dipende dal sistema elettorale. Se si vota con il maggioritario sono entrambi costretti a stare insieme, anche controvoglia. Col proporzionale cambia tutto.

Quindi addio campo progressista e Conte leader?

Quel disegno è tramontato. Si può fare un’alleanza strategica, specie alle comunali e ovunque c’è il maggioritario. Fondersi in un’unica schiera non conviene a nessuno, perché i voti di Pd e Cinque Stelle sono molto, troppo simili.

Il governo regge?

Sì, se regge il metodo Draghi: un passo, un compromesso, un ostacolo da superare alla volta. Il premier è come il mister Mancini: bravo, autorevole, e spesso vince ai rigori. Lo diceva anche Machiavelli: la fortuna aiuta, un buon leader deve saperne fare buon uso.

Se il Movimento non abbraccia più la protesta, chi lo fa?

La destra.

Professore, i tre quarti della destra italiana stanno al governo.

Io non parlo solo di destra partitica. Quarant’anni fa la protesta culturale, politica, sociale era in mano alla sinistra. La destra, cui pure non sono mancati grandi riferimenti cultural, da Dostoevskij a Jünger fino ad Evola e Céline, preferiva la reazione. Oggi i descamisados stanno dall’altra parte. Guardiamoci intorno. Immigrazione, famiglia, bioetica. Gilet Jaunes, Brexit, Trump. Sa cosa significa?

Cosa?

Che la destra è l’unica a muovere voti. Salvini e Meloni hanno portato entrambi un partito del 4% oltre il 20% soffiando consensi ai Cinque Stelle. Sono gli unici ad essersi mossi. L’opposto del Pd, che rimane un partito granitico sul piano culturale, politico, elettorale. Un moloch al centro del villaggio. Qualcuno, finalmente, se ne è accorto.

Mi faccia indovinare: Matteo Renzi.

L’unico che ha ancora un po’ di fiuto per la politica. Non ha più voti, ma sa dove stanno: sarebbe un perfetto spin doctor. Prendiamo la vicenda del Ddl Zan. Chi pensa sia semplice tattica si sbaglia. Una legge che introduce l’identificazione di genere su base culturale e volontaria è una cosa pesante in un Paese dove la destra ha più del 40%. Queste battaglie appassionano le università americane più degli italiani. Siamo un popolo di tradizionalisti, piaccia o meno.

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