La conferenza internazionale che ogni anno riunisce premi Nobel ed economisti di fama globale giunge alla 32esima edizione. Tanti i temi in agenda, ma con un unico filo rosso: imparare a non ripetere gli errori commessi e costruire un’economia più a misura d’uomo
Villa Mondragone ne fa 32. Il famoso evento sull’economia che ogni anno riunisce premi Nobel, accademici ed economisti da tutto il mondo, organizzata presso l’omonima villa ai Castelli Romani, abbarbicata sul Monte Tuscolo, è giunta alla sua 32esima edizione, in un momento che più delicato di così non poteva essere. L’Italia sta tentando di mettersi alle spalle la grande pandemia, agguantando i primi fondi del Recovery Fund. Non è un caso che il titolo scelto per l’edizione di quest’anno sia Lezioni dal Covid 19.
L’evento, iniziato ieri e in programma fino all’8 luglio e organizzato in collaborazione con la Fondazione Economia Tor Vergata presieduta da Luigi Paganetto (qui l’intervista a Formiche.net della settimana scorsa), ha come focus il ripensamento della sostenibilità dello sviluppo economico nel contesto internazionale creato dalla pandemia. Numerosi, anche quest’anno, i partecipanti e tutti di grosso calibro.
Dal Rettore dell’Ateneo Orazio Schillaci a Enrico Giovannini, ministro delle Infrastrutture, passando per Pasquale Lucio Scandizzo, presidente della Villa Mondragone Development Association. Ma anche il Premio Nobel Edmund S. Phelps, gli economisti e docenti Dominick Salvatore, Jean Paul Fitoussi e l’ex ministro dell’Economia Giovanni Tria.
I principali temi al centro dell’agenda sono quello dei vaccini, in particolare il rapporto venutosi a creare tra Paesi emergenti e Paesi avanzati, le sfide europee in materia di produttività e crescita sostenibile, il Next Generation Eu, la transizione energetica e la digitalizzazione. Paganetto ha dato il là ai lavori: “Serve un approccio che associ alla scelta a favore della concorrenza per il mercato interno, una scelta di policy che le apra nuovi mercati a cominciare dalla sponda sud del Mediterraneo e dall’Africa. È un’esigenza di tutti i Paesi europei a cominciare dalla Germania che non volendo attivare una maggiore domanda interna si trova a constatare che il tradizionale rapporto privilegiato con i paesi di Visegrad, il motore che ha mosso in questi anni la sua economia, non è più sufficiente”.
E ancora, “occorre pensare una discussione delle regole che seguiranno la sospensione del Trattato di Maastrict, essa non implica un ritorno al passato quando sarà finita la crisi. È necessario ragionare (anche nell’ambito della Conferenza su Europa Futura) su nuove regole fiscali e monetarie che, pur rigettando il rigore puntando allo sviluppo – visto che tutti ne sentono l’esigenza – richiederanno un cambiamento della governance che non può più essere dominata dal metodo intergovernativo e dalle decisioni all’unanimità”.
Per quanto riguarda i lavori della seconda giornata, è intervenuto Lorenzo Codogno, della London School of Economics, per il quale “è importante la tempestività dell’azione europea nel contrastare gli effetti della pandemia con il NgEu. Un meccanismo automatico basato su una capacità fiscale centralizzata e un asset sicuro avrebbero prodotto, però, un risultato migliore nella stabilizzazione dell’economia e ritiene pertanto fondamentale riflettere su un meccanismo permanente di condivisione dei rischi per il futuro dell’Ue”.
Francesco Manaresi, economista dell’Ocse, ha invece sottolineato come le tecnologie digitali “necessitino di investimenti complementari in beni immateriali non rivali, altamente scalabili e caratterizzati da esternalità di rete positive, fattori che hanno beneficiato le aziende leader a discapito di quelle in ritardo di sviluppo, aumentando la concentrazione, disincentivando l’innovazione e riducendo l’inclusività del lavoro. Servono politiche capaci di promuovere l’adozione di tecnologia nelle aziende meno produttive per riattivare una competizione in grado di promuovere una crescita digitale e più inclusiva”.