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Quale vita dopo la pandemia? Ricordando, a luglio, Frida Kahlo

La storia di Frida Kahlo, nata il 6 luglio 1907 e morta a soli 47 anni il 13 luglio del 1954, donna che trasformò la sofferenza nell’amore per la vita rappresentato dalla bellezza dell’arte, forse, può insegnarci qualcosa. La morte e la vita viste in uno specchiarsi continuo, con la forza del sentire che sconfigge la morte

È tempo di rinascita. Tra riforme annunciate e ingenti risorse economiche da impiegare per rifondare un Paese che sarà diverso e, si spera, migliore. Ma siamo pronti a “togliere la mascherina” e a ritrovare il sorriso per ripartire come se nulla fosse mai accaduto?

Incombono le varianti e l’estate, appena iniziata, è già minata da nuove incertezze sanitarie. Pur vaccinati, tamponati e dotati di green pass, come dicono gli esperti, sono richiesti comportamenti di responsabile prudenza e consapevolezza dei rischi.

Dopo la privazione degli abbracci, la sospensione di relazioni e progetti, sembra mutata anche la percezione del tempo. Più lento e più misterioso di quanto non lo sia di per sé. Nato da un virus sconosciuto, ci turba e ci disorienta.
Quanto tempo è passato, nel nostro sentire più intimo? E quale tempo ci aspetta per superare le ansie e quella “stanchezza da Covid” che, insieme alle abitudini, ha acuito indifferenze, spento entusiasmi e desideri?

L’efficacia del piano vaccinale ha allontanato il contagio ma non la paura. Nella fragilità della socialità e degli affetti, il timore di un mondo tutto da reinventare svela, dunque, l’insidia di una sofferenza forse più antica e profonda.
Per i filosofi, il problema del tempo pone interrogativi costanti sulla nostra identità e sul fluire dell’esistenza. E cosa resta nella nostra memoria, dopo il trauma subito? Ma il tempo è anche la speranza di ciò che saremo. Dunque, ascoltiamo il cuore e assaporiamo, con ottimismo, i sogni del futuro che verrà!

La storia di Frida Kahlo, che trasformò la sofferenza nell’amore per la vita rappresentato dalla bellezza dell’arte, forse, può insegnarci qualcosa. La morte e la vita viste in uno specchiarsi continuo, con la forza del sentire che sconfigge la morte.

Frida nasce il 6 luglio 1907 e muore, a 47 anni, il 13 luglio del 1954. La ricordiamo come l’iconica artista dei temi femminili. Simbolo di indipendenza, anticonformismo, determinazione, resilienza e coraggio delle donne.
Frida, la donna elegante e malinconica, dallo sguardo fiero sempre diritto, accentuato dalle sopracciglia folte e disegnate ad ali d’uccello.

La donna che “viveva morendo”, come fu detto di lei, colpita a sei anni dalla poliomelite, o, per altri, affetta da una grave deformazione delle vertebre. “Pata de palo” (gamba di legno), derisa dai suoi coetanei. E, poi, vittima di un gravissimo incidente, in tram, costretta a subire circa trenta interventi chirurgici e, a soli 18 anni, un lunghissimo periodo di immobilità. Un letto a baldacchino dotato di uno specchio sul soffitto per proseguire nella pittura. Una produzione di 55 autoritratti, oltre un terzo delle sue tele.

Le sue opere sono il simbolo del dolore del corpo e dell’anima attraverso una rappresentazione audace e mai vittimistica e, da convinta comunista, anche della sofferenza della società. Paure e angosce rappresentate in maniera forte dall’artista, in un confronto costante con l’immagine di straordinario coraggio della donna.
Un contrasto che diventa metafora della fragilità dell’esistenza e della sofferenza universale, toccando corde profonde e trasformandosi in appassionato attaccamento alla vita. È il messaggio di Frida per un’umanità oggi smarrita.

La sua vita è stata una continua sfida. “Non sono malata. Sono rotta. Ma sono felice, fintanto che potrò dipingere”, affermava.

Intima la sua pittura, restituisce dignità ad un corpo martoriato e minacciato quotidianamente dalla “pelona” (morte). Vi è la narrazione di emozioni, sentimenti e stati d’animo, nei momenti più significativi della sua difficile vita. Ma lo sguardo, i colori vivi, i monili rappresentati nei suoi quadri sono un inno alla vita.

Lettere d’amore e pittura sono il diario della sofferenza quotidiana ma anche della passione amorosa e dell’erotismo.
Un percorso lento e impegnativo dal valore terapico. “Hanno pensato che fossi una surrealista, ma non lo ero. Non ho mai dipinto sogni. Ho dipinto la mia realtà”, ha spiegato.

Nell’agosto del 1929, il matrimonio con Diego Rivera, noto artista di murales, affabulatore e dongiovanni, poi il divorzio (1939) e poi ancora sposi l’anno successivo.

Un legame tormentato e fuori da schemi, sempre vivo e profondo, pur tra reciproci tradimenti e bizzarrie. Fino alla morte di Frida. Il desiderio irrealizzabile della maternità e tre aborti.

“Ho avuto due gravi incidenti nella mia vita. Il primo fu quando un tram mi mise al tappeto, l’altro fu Diego”, diceva Frida Kahlo parlando del suo grande amore per Rivera, al quale dedicò lettere e frasi d’amore. “Ti amo più della mia stessa pelle”, scrisse rivolgendosi al pittore. E ancora, è la donna dell’amore assoluto: “Da quando mi sono innamorata di te, ogni cosa si è trasformata ed è talmente piena di bellezza… L’amore è come un profumo, come una corrente, come la pioggia. Sai, cielo mio, tu sei come la pioggia ed io, come la terra, ti ricevo e accolgo”.

Ma è l’amore che fa soffrire. “Le due Frida” sono il dipinto con il quale la pittrice racconta se stessa dopo il divorzio. Sedute, sullo sfondo di un nuvoloso cielo grigio, una Frida in abiti della tradizione messicana porta in grembo l’immagine di Diego bambino. Ha accanto una seconda Frida ferita, di foggia occidentale, che perde sangue e ha in mano una pinza medica, forse, a voler recidere quel vissuto così doloroso. Una sofferta dualità, la Frida abbandonata da Rivera e la Frida da lui amata. Ma anche desiderio di rinascita.

La pittrice muore nella sua città natale, per embolia polmonare, nella Casa Azzurra di Coyoacán, oggi meta di visitatori, rimasta intatta, per volontà di Diego Rivera, che la donò al Messico. Una casa semplice e bellissima, dai muri colorati, piena di vita. Come la sua forza interiore.

Intramontabile la fama della Kahlo nel mondo. Per alcuni, la più grande pittrice del Novecento. Celebrata da mostre, film, documentari, biografie. Le Poste degli Stati Uniti, dopo la sua morte, emisero un francobollo che ne riporta l’effige, primo con una donna ispanica.

In questi mesi, in Italia, le mostre di Napoli, Roma, Torino e Milano descrivono la dimensione artistica, umana e spirituale di Frida.

L’artista e la donna Frida Kahlo. La donna delle contraddizioni e della trasgressione, della sofferenza e della solitudine, icona immortale del mondo contemporaneo, ci esorta, oggi, ad andare, comunque, incontro alla vita.
Ha trasformato la sofferenza in bellezza, ha dimostrato alle donne la possibilità di affermare la libertà di essere se stesse anche nella sofferenza. “Piedi, perché li voglio se ho ali per volare?”.

“Innamorati di te, della vita e dopo di chi vuoi”. È il manifesto dell’indipendenza, della passione e del coraggio anche delle donne di oggi?

Guardando nella profondità dell’anima, per vedere la vera bellezza. “Se solo i nostri occhi vedessero l’anima anziché il corpo, i nostri canoni di bellezza sarebbero diversi”.

Un grido d’amore e di gioia l’ultimo dipinto, “Viva la vida”, realizzato pochi giorni prima della sua fine, raffigura una natura morta con angurie. Simbolo di passione, l’anguria, nutrimento per l’aldilà nella tradizione egizia. Un frutto da assaporare fino all’ultima goccia. Come la vita.

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