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Afghanistan, l’Europa s’è desta? I dubbi di Frattini

L’ex ministro degli Esteri e commissario europeo: Europa marginale nella missione afgana, irrilevante sulla decisione del ritiro. Biden come Trump pensa all’America first. Insieme alla Nato una Difesa europea per intervenire nel nostro vicinato. E al G20 Erdogan dovrà chiarire da che parte sta

Poco tempo, pochi mezzi. L’escalation in Afghanistan suona l’ultimo gong per l’Europa. Per Franco Frattini, già ministro degli Esteri e commissario europeo, presidente della Sioi, parlare di una nuova Difesa e sicurezza europea si può, a precise condizioni.

Frattini, l’Europa ha voce in capitolo in questa crisi?

Ne ha poca. Da Bruxelles indicazioni confuse, contraddittorie. C’è chi si è affrettato a dire “dobbiamo trattare”, come se ci fosse stata una legittima presa del potere. Oggi l’Alto rappresentante Borrell parla di una forza di intervento europeo, un’illusione in questo scenario afgano. La verità è che l’Europa è stata sempre marginale in questa missione a trazione americana.

Colpa di Biden o c’è di più?

No, questa marginalizzazione è iniziata ben prima. Ricordo che quattordici mesi fa l’ex presidente Donald Trump ha negoziato e annunciato un accordo con i talebani senza che la Nato fosse consultata prima. Biden ha proseguito nella stessa direzione. Rispondendo, va detto, a un’esigenza bipartisan in America.

Sarebbe?

America first, l’America viene prima di tutto. Da settant’anni l’Italia e gli altri alleati europei sono cresciuti con un punto fermo: gli Stati Uniti sono la nazione che si fa più carico degli altri. Qualcosa si è incrinato con il ritiro da Kabul. Sentire un segretario generale della Nato giustificare il poco preavviso degli altri Paesi membri perché “pagano di meno” dà un’idea della situazione.

Si torna a parlare di Difesa europea. C’è qualcosa oltre la retorica?

C’è eccome. La Difesa europea ha senso nel momento in cui è complementare, non alternativa alla Nato. Ha senso per fare i conti con il nostro vicinato.

Ad esempio?

È comprensibile che gli americani non vogliano mettere in campo nuovi uomini e risorse per rinforzare l’embargo di armi in Nord Africa, o ancora per la stabilità dei Balcani. All’epoca della dissoluzione della Jugoslavia e del formato Quint, Bill Clinton disse giustamente che l’impegno degli Stati Uniti sarebbe stato limitato.

Torniamo in Afghanistan. Cosa può fare l’Europa?

Dare un suo contributo alla stabilizzazione regionale. Una missione che non possiamo guidare come italiani, europei, americani senza parlare con chi conta davvero sul terreno, dalla Russia all’India fino alla Cina.

E qui veniamo a Draghi e al protagonismo italiano in vista del G20. Mediare con Mosca e Pechino è un rischio?

È un rischio che può correre un vero leader. La mossa di Macron e Johnson per chiedere all’Onu una safe zone a Kabul è un gesto di leadership. Lo stesso vale per gli sforzi di Draghi per portare la discussione al G20. In questa fase il premier si giova di un elemento fondamentale: non ha paragoni in Europa. Merkel e Macron soffrono gli appuntamenti elettorali.

Va bene, mediare. Ma come?

È una vera impresa. Il G20 è un forum economico, ma è anche l’unico in grado di mettere sul tavolo i tanti interessi in campo. I russi temono l’instabilità di Uzbekistan, Tagikistan, del Pashmir e dell’Asia centrale, i cinesi di perdere la possibilità di mettere le mani sul sottosuolo afgano.

Le priorità?

Sostegno allo sviluppo, aiuti per la ricostruzione. E poi contrasto al terrorismo e al narcotraffico. Per questi due obiettivi bisogna parlare con il Pakistan, che da anni sostiene gruppi terroristici al confine, e con l’Iran, transito cruciale dei traffici di droga afgani.

Non ci staremo dimenticando della Turchia?

Niente affatto. La Turchia deve sgombrare il campo da alcune ambiguità. Ha i mezzi diplomatici e politici da una parte per sostenere i corridoi umanitari, dall’altra per evitare che lo scontro fra terroristi dell’Isis nel Khorasan e i talebani si accentui ulteriormente. Anche se ha i missili russi, deve ricordarsi di essere un Paese-chiave della Nato.

Sulla gestione dei rifugiati l’Ue rischia di ricadere nel ricatto di Ankara?

Questa è una circostanza diversa. A differenza dei siriani, per gli afgani non sarà facile raggiungere i confini europei. Tagiki e uzbeki cercheranno rifugio a Nord, sotto l’ombrello russo, altri verso l’India, il Pakistan e la Cina. È vero però che Erdogan avrà una nuova leva verso Bruxelles.

Cioè?

Il controllo della sicurezza dell’aeroporto di Kabul. Cosa succede se da lì iniziano a partire aeroplani di persone in fuga verso l’Europa? E chi si occuperà dei controlli di sicurezza? Può diventare un mezzo di pressione, da non sottovalutare.

 

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