Conversazione con l’editorialista e già direttore de La Stampa. Conte e Salvini due leader allineati: riconosciuti da Draghi, faranno un po’ di propaganda ma senza strattonare il governo. Giustizia e green pass? No, i veri ostacoli saranno fisco e burocrazia
Da vecchi duellanti a compagni di ventura. A due anni dallo scontro titanico che ha tirato giù il governo gialloverde, Giuseppe Conte e Matteo Salvini si ritrovano a condividere la stessa sorte. Alfieri delle grandi battaglie estive del governo Draghi, Giustizia e green pass, sono rientrati nei ranghi dopo aver ottenuto quel che volevano: un posto al sole. Marcello Sorgi, editorialista e già direttore de La Stampa, la mette così: “Adesso possono sostenere il governo, e prendersi qualche libera uscita per un po’ di propaganda elettorale”.
Mario Draghi può andare in ferie tranquillo?
Sì, non sarei pessimista sullo stato di salute del governo. Il premier sta rivelando una forza di volontà incredibile e pure una notevole capacità politica. L’endorsement al reddito di cittadinanza è un colpo da maestro.
Sulla riforma Cartabia il governo ha sussultato.
Quando un provvedimento arriva in Parlamento ci sono sempre turbolenze. Scompaiono appena viene messa la fiducia. In verità la Giustizia è stata un importante banco di prova.
Per chi?
Per Conte, anzitutto. Si è mosso bene: alla sua prima uscita da leader di partito ha ottenuto la modifica del testo maturato dal primo accordo e si è portato dietro il Movimento al suono del motto “meglio di così non si poteva fare”.
Una vittoria?
Un successo personale, questo sì. Soprattutto per la legittimazione di fronte a Draghi. Prima il premier parlava solo con Grillo e Di Maio, ora ha riconosciuto in Conte il leader del Movimento. È una conquista che Conte non vorrà bruciare stralciando la riforma al Senato. Potrà anzi usare le amministrative per chiedere voti con la promessa di cambiarla, in un futuro indefinito.
Il plebiscito di Conte fra i Cinque Stelle è una buona notizia per Draghi?
In parte sì, perché dà più stabilità al governo. Conte sta scegliendo una strategia già sperimentata da Salvini. Il leader della Lega è entrato in maggioranza facendo un po’ di propaganda e poi, grazie a Giorgetti, si è costruito un rapporto con Draghi. Conte farà lo stesso.
Non ci staremo dimenticando del Pd?
Ecco, al Pd resta da recitare una sola parte: il partito della stabilità. Non sarà facile, perché al Nazareno c’è una forte corrente anti-Draghi.
E chi ci nuota?
Un po’ chi rimpiange il governo Conte, come Bettini. Un po’ quella sinistra storica che non si sente vincolata a voler bene al banchiere da Francoforte, al massimo può collaborarci.
Queste correnti verranno a galla con le elezioni per il Colle?
Molto dipende dalle amministrative, la vera anticamera del Quirinale. Possono generare contraccolpi fortissimi, a cominciare dalla madre di tutte le partite.
Roma capitale.
Da lì parte il domino per il Colle. Se Gualtieri dovesse rimanere fuori dal ballottaggio ci sarebbero ripercussioni altrove. Lo stesso vale per le suppletive di Letta a Siena, anche se qui un imprevisto è meno probabile.
Un pronostico?
Se al ballottaggio incontra Michetti, Gualtieri vince. A giudicare dalle prime uscite mi sembra che la destra a Roma non abbia scelto un candidato forte. E qualcuno fra i dirigenti di partito se ne sta accorgendo.
Sarà un autunno caldo anche per le riforme. Reddito di cittadinanza e pensioni, tornano i fantasmi gialloverdi?
Su queste due si troverà una quadra. Lo scalino più ripido, e il più importante agli occhi di Bruxelles, è la riforma del fisco. Non sarà una passeggiata, le posizioni di partenza sono opposte, con Letta che difende la patrimoniale e Salvini schierato per la flat tax al 15%.
Finisce qui?
Niente affatto, bisognerà anche mettere mano alla burocrazia. La digitalizzazione sarà lo strumento per rinnovare gli ingranaggi. Come in tutte le riforme decisive, Draghi farà tandem con un ministro di fiducia, in questo caso Colao. Sarà un’impresa: la burocrazia è uno dei pochi poteri forti rimasti intatti da Tangentopoli ai giorni nostri.