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Gli Usa inviano bombardieri e cannoniere volanti per coprire il ritiro dall’Afghanistan

Gli Stati Uniti mandano rinforzi aerei in Afghanistan. La potenza di fuoco aerea delle cannoniere AC130 e dei B52 in azione mentre i Talebani guadagnano territori

Da quando è caduta Zaranji, il primo capoluogo di provincia in Afghanistan tornato in mano ai Talebani, alla successiva conquista di altri quattro grandi centri urbani —Sheberghan, Sar-i-Pul, Taluqan e Kunduz — sono passate soltanto 72 ore. Gli insorti sfondano anche nelle città più importanti — Zaranji per esempio è uno snodo sul confine con l’Iran che permette ai guerriglieri di avere il controllo sul quarto dei sei valici di frontiera afghani (questo significa controllare i vari traffici e avere vantaggio logistico oltre che economico).

Questi recenti attacchi violano l’accordo di pace del 2020 tra Talebani e Stati Uniti, dato che gli insorti terroristi si sono impegnati a non prendere di mira centri provinciali come Kunduz. Come analizzava su queste colonne l’esperto Claudio Bertolotti (Ispi), in alcuni di questi capoluoghi — come a Herat, ex quartier generale del contingente italiano — si vedono gli effetti iniziali di una “resistenza diffusa”, ma altrove la situazione è critica. Le forze afghane combattono, ma non sembrano in grado di contenere gli insorti, tant’è che gli Stati Uniti hanno aumentato l’intensità delle proprie operazioni aeree a supporto dell’esercito locale.

Il presidente Joe Biden ha dato ordine di usare i bombardieri strategici B-52 “Stratofortress” e le cannoniere volanti AC-130 “Spectre” di contro i Talebani. Ossia, gli americani non si limiteranno più ad azioni mirate tramite droni o sortite puntuali, ma compiranno attacchi a tappeto con due assetti da guerra piena. L’esercito di Kabul ha annunciato una controffensiva su Kunduz (con quasi 400 mila abitanti il centro principale tra quelli persi) e sarebbe la terza volta che ciò accade dopo la caduta-e-riconquista del 2015 e 2016. Ma stavolta gli afghani sono da soli a terra, per questo serve la potenza aerea statunitense.

Le cannoniere AC-130 Spectre — armate con un cannone Gatling da 25 mm, un cannone Bofors da 40 mm e un obice M102 da 105 mm — sono il mezzo perfetto per il Close Air Support. Furono le Spectre dello Special Operations Command a essere decisive nei primi giorni di guerra ai Talebani (e ad al Qaeda) per conquistare proprio Kunduz. Era il 2001: ora, vent’anni dopo, sono richiamate in azione ed è di per sé l’immagine della debacle. L’Afghanistan è praticamente sul punto in cui si trovava prima dell’inizio della più lunga guerra della storia, quella che doveva prima cancellare le realtà terroristiche e poi, per ampliamento ambizioso, diventa un tentativo di costruire una nuova democrazia nel paese.

I talebani stanno avanzando attraverso l’Afghanistan anche perché hanno preso coraggio dopo che la coalizione guidata dagli Stati Uniti si è ritirata dal paese, lasciando le forze di difesa della nazione in difficoltà ad affrontare i ribelli jihadisti. La conquista di Sheberghan, per esempio, è stata particolarmente funzionale perché è la roccaforte del signore della guerra uzbeko (alleato Usa) Rashid Dostum, le cui milizie sono tra quelle resuscitate per aiutare le forze di sicurezza e di difesa nazionali afgane. Dovevano dare una mano ai soldati di Kabul, sono finiti per perdere rapidamente le proprie basi.

Il presidente Biden è consapevole che le azioni dei bombardieri non bastano da sole per fermare gli insorti, ma sa anche che qualcosa deve fare. Mentre il Pentagono, la Casa Bianca e il dipartimento di Stato raccontano il ritiro che sarà ultimato entro il 31 agosto (anche perché oltre il 90 per cento del contingente è già fuori dal paese), secondo lo slogan “responsible exit”, diventa necessario rendere l’uscita responsabile anche militarmente. L’invio della potenza area rientra più nella necessità di dare consistenza alla comunicazione piuttosto che nella fiducia che possa essere un reale game changer. (Specificazione: potrebbe esserlo, sia chiaro, ma se pensato come asset di un’operazione più vasta e duratura di cui finora non si parla, anche perché sarebbe in parte una contraddizione con la politica di disimpegno).

I B-52 e gli AC-130 stanno operando dal Qatar, mentre la portaerei “USS Ronald Reagan” dispiegata nel Mar Arabico potrebbe aggiungere ulteriore potenza di fuoco se la flotta di F/A-18 Super Hornet imbarcata dovesse essere chiamata all’azione. Le forze americane si stanno concentrando nel cercare di respingere i jihadisti da capoluoghi come Lashkar Gah, Herat e Kandahar, che hanno subito pesanti attacchi negli ultimi giorni. Non è chiara ancora la durata della missione, che ha come fine secondario anche quello di dare coraggio e fiducia alle forze afghane.

Il problema è anche tecnico: col ritiro americano anche l’esercito di appaltatori che venivano utilizzati per la manutenzione degli elicotteri e dei jet afgani se ne sta andando. Le valutazioni più realistiche ritengono che più di un terzo dei 162 velivoli delle Forze armate afghane siano fuori uso a causa dell’assenza di chi può occuparsi della riparazione e della mancanza di pezzi di ricambio. Tutto mentre i piloti di Kabul — che sono stati anche presi di mira dai talebani con vendette personali — sarebbero esausti e demoralizzati a causa delle missioni non-stop, e le munizioni si stanno esaurendo. L’arrivo degli aerei americani è una forma di supporto minimo a questo punto.

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