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Ammortizzatori sociali e lavoro, una riforma necessaria

La cassa integrazione ha rappresentato un ammortizzatore fenomenale, autorizzata con larghezza è uno degli strumenti delle politiche passive per il lavoro che ci contraddistingue dall’Europa, che invece vanta Centri per l’impiego efficienti e formazione efficace. Le politiche attive non sono il nostro forte, ma nonostante il Pnrr preveda interventi in questa direzione, il ministro Orlando ha deciso di non decidere. Né sulle politiche attive né sulla cig e gli altri ammortizzatori. Il commento di Antonio Mastrapasqua

Qualcuno aveva paragonato il governo Draghi a quello di Monti del 2011. Voluto fortemente dal capo dello Stato, sia l’uno che l’altro; guidato da un “uomo forte” estraneo alla politica politicante, entrambi; con una maggioranza parlamentare a prova di bomba. Eppure, dopo l’exploit sulla campagna vaccinale e la stesura del Pnrr, la prova del governo dei Migliori (quello di Draghi; quello di Monti era il governo dei Tecnici) si è un po’ appannata. Lo sblocco della riforma della Giustizia, con il consiglio dei ministri unanime, risolve il “rischio politico”, ma non quello tecnico. Senza seguire le rumorose contestazioni del procuratore di Catanzaro, Nicola Gratteri – “è la peggiore riforma mai scritta” – restano tutte le incertezze di un provvedimento frutto di una mediazione infinita e caratterizzato da amnesie e lacune che rendono difficile l’uso della parola “riforma”.

Il rischio è che ora il metodo si estenda a macchia d’olio a tutte le altre Riforme attese dal Paese, prima ancora che imposte dal Pnrr. L’agenda prevedeva riforme della Pubblica amministrazione, del fisco, della concorrenza, delle politiche attive e passive del lavoro (quindi ammortizzatori sociali) e delle pensioni (vista la scadenza a fine anno della tanto contestata quota 100).

La prima scadenza era il 31 luglio: il ministro del Lavoro, Andrea Orlando, aveva promesso per questa data la proposta di riforma degli ammortizzatori sociali. Pochi giorni fa ha ammesso che si rinvia ad autunno, anzi probabilmente a fine anno, per poter approfittare della Legge di bilancio. Un modo per tirare la palla in tribuna, in attesa che passi un po’ di tempo, si chiariscano i ruoli forti dentro e fuori del governo. Piazza sindacale compresa, visto che il segretario della Cgil Landini, ha minacciato mobilitazioni a settembre, se non verranno ascoltate le richieste sindacali sul “dopo quota 100”.

Il segretario della Uil, Bombardieri, con poco tatto, ha ricordato “che non è il ministro Orlando a decidere”. E infatti dal dicastero di via Veneto non esce alcuna proposta di riforma, né delle politiche attive per il lavoro, né per le politiche passive, né per le pensioni. Con buona pace di imprese e lavoratori che contavano di capire un po’ di più sul loro futuro occupazionale e organizzativo entro l’estate.

L’urgenza degli interventi sul lavoro è stata ribadita anche in questi giorni dal sindacato dei dirigenti, Cida e dall’associazione Adapt, che nel loro Osservatorio del mercato del lavoro, confermano che l’uso massiccio della cassa integrazione durante i mesi della pandemia ha messo in luce le rigidità dello strumento e confermato la necessità di una riforma degli ammortizzatori sociali. “Combinato con il blocco dei licenziamenti – spiega nel suo editoriale il presidente di Cida, Mario Mantovani – il ricorso alla Cig ha avuto l’obiettivo di congelare una situazione pre-Covid, immaginando un rapido ritorno alla normalità. Scelta comprensibile nei primi mesi di pandemia, ma che si sarebbe dovuta superare una volta compreso che con i limiti alle attività dobbiamo convivere a lungo”.

La cig ha rappresentato un ammortizzatore fenomenale, autorizzata con larghezza è uno degli strumenti delle politiche passive per il lavoro che ci contraddistingue dall’Europa, che invece vanta Centri per l’impiego efficienti e formazione efficace. Le politiche attive non sono il nostro forte, ma nonostante il Pnrr preveda interventi in questa direzione, il ministro Orlando ha deciso di non decidere. Né sulle politiche attive né sulla cig e gli altri ammortizzatori.

Nata nell’ambito dei settori manifatturiero, delle costruzioni e delle attività estrattive, la cig ordinaria è stata nel tempo applicata “in deroga” agli altri settori, con una vera e propria esplosione nel 2020. Scelta spiegabile per il relativo grado di consolidamento delle procedure di accesso, “salvo il tentativo di coinvolgere le regioni, quasi sempre impreparate al compito, ma indice di una carenza strutturale complessiva” come ricorda l’Osservatorio Cida-Adapt.

“L’estensione agli altri settori non ha infatti impedito la caduta dell’occupazione in molti di essi, in particolare quelli in cui prevalgono il contratto a tempo determinato e le collaborazioni con lavoratori autonomi. Ma l’analisi mostra anche un altro effetto: non vi è stata correlazione tra i settori maggiormente penalizzati e con surplus di occupazione e utilizzo della cig; quelli che ne hanno più beneficiato hanno avuto cadute di attività e fatturato spesso inferiori”.

Insomma, sarebbe ora di cambiare. Ma il governo non sembra avere fretta. Stesso copione per le pensioni. E per il fisco – c’è già chi prevede una riforma che diventi “riformina” – e per la concorrenza. Il litigio tra i partiti non aiuta. L’ignavia di alcuni ministri fa il resto.

 

 

 

 

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