Dalle grandi illusioni alla dura realtà. La Cina e la sua turbo-economia uscita (apparentemente) indenne dalla pandemia, rischia di fare un bagno di umiltà anzitempo e su più fronti. Al punto che le previsioni di crescita del Pil a fine anno, oggi fissate da Pechino all’8%, potrebbero essere riviste. La colpa? I fattori sono molti, ma su tutti c’è un debito finanziario (sovrano o privato poco importa) diventato un mostro a tre teste, come dimostra la catena di insolvenze dei grandi giganti statali.
I numeri parlano chiaro. Se nel primo trimestre, quando il mondo ancora sperimentava la nuova tornata di lockdown, la Cina registrava un’impennata del Pil del 18,3%. Tutto clamorosamente sgonfiatosi nel secondo trimestre, quando la corsa del Pil si è fermata a un +7,9%. Ora, il fiato rischia di diventare ancora più corto.
Almeno secondo Goldman Sachs, Jp Morgan e Morgan Stanley. I tre grandi istituti americani hanno infatti tagliato le loro previsioni di crescita in Cina, dopo che la corsa delle esportazioni è rallentata inaspettatamente e su preoccupazioni che il risorgente coronavirus potrebbe ostacolare l’attività economica. Nel dettaglio, Jp Morgan ha ridotto la sua stima di crescita nel terzo trimestre al 2% dal 4,3% e ha ridotto la sua previsione per l’intero anno all’8,9% dal 9,1%.
Morgan Stanley ha invece abbassato la sua previsione trimestrale all’1,6%, mentre Goldman Sachs ha tagliato la sua stima al 2,3% dal 5,8% e all’8,3% contro l’8,6% per l’intero anno. “I recenti sviluppi indicano ulteriori rischi al ribasso per le già deboli previsioni di crescita per il terzo trimestre, legate alla diffusione della variante Delta, a una serie di cambiamenti normativi nei settori della nuova economia e all’erosione della fiducia del mercato”, hanno affermato gli analisti di Jp Morgan, interpellati da Reuters.
Tutto questo mentre la guerra al Fintech dichiarata da Pechino continua a mietere vittime. Da quando, per esempio, a fine giugno Pechino ha tirato il freno a mano alla quotazione a New York di Didi, la Uber cinese, i tycoon di Big Tech hanno perso – come hanno calcolato sia Bloomberg sia il Financial Times – 87 miliardi di dollari di patrimonio personale. Sono i Paperoni del settore digitale, nonché tra gli uomini più ricchi di Cina, come il boss di Tencent Pony Ma, l’altro Ma (Jack) fondatore di Alibaba e il creatore del gigante dell’e-commerce Pinduoduo Colin Huang. Quest’ultimo è quello che soffre di più (15,6 miliardi di patrimonio bruciati), ma sono i 12 miliardi in meno sul conto in banca di Pony Ma che rivelano come il Partito stia facendo sul serio.