L’ex avvocato del popolo è stato votato presidente dalla base grillina. Il suo modello sembra essere di tipo interclassista: dichiarandosi né di destra né di sinistra, il tentativo è di pescare voti ovunque possibile, superando le logiche di schieramento. Un obiettivo che ricalca in qualche modo la Dc d’antan, che però non è più replicabile. E archiviare il Vaffa non basta
L’incoronazione di Giuseppe Conte è avvenuta e il finalmente insediato leader dei Cinquestelle promette: non vi deluderò. Giusto: anche possibile? L’ex premier si trova di fronte ad un compito di quelli che fanno tremare i polsi, ma adesso che l’assetto di comando è definito può cominciare la sua opera. Esattamente quale?
Molti osservatori si sono concentrati – ed è inevitabile – sulle mosse riguardo il governo, l’appoggio o meno a Draghi, la rivendicazione delle parole d’ordine più identitarie del MoVimento, i rapporti col Pd. Tutte opzioni fortemente politiche che rischiano di mettere in ombra il vero core business dell’azione di Conte: mantenere l’attuale bacino di consensi e, sperabilmente per la sua mission, rimpinguarlo. I tempi della travolgente avanzata del 2018 sono lontani e solo uno sforzo di eccezionale ottimismo può immaginare di farli tornare. Allo stato i sondaggi accreditano il M5S di un bottino pari alla metà dei voti conquistati all’inizio della legislatura: ed è una base di partenza neppure così male considerate le giravolte attuate in questi anni e le contrapposizioni tra le due anime pentastellate: quella palingenetica e quella governativo-istituzionale.
Ma, appunto, come consolidare il risultato o cercare di ampliarlo? Per non deludere i sostenitori a cinque stelle, Conte dovrà fare esercizi da equilibrista. E il primo pensiero non può che andare alla costituency. Chi ha votato quattro anni fa il partito di Grillo l’ha fatto sull’onda di un sentimento di ribellione per la classe politica allora in auge e per la rabbia di vedere frantumati elementi di benessere fino a quel punto conquistati. Insomma una fetta di elettorato di sinistra deluso e una assai più consistente di ceto medio timoroso di vedersi impoverito.
Come continuare a far convivere queste due spinte? La fetta di sinistra può essere accarezzata per il pelo del reddito di cittadinanza, e il fatto che SuperMario abbia affermato di condividerne il principio è un aiuto forse insperato. Ma non basta. Quali altri elementi identitari possono essere sbandierati? La questione giustizia è andata: alla riforma Cartabia, è vero, manca ancora un passaggio parlamentare prima di diventare legge ma quel che si poteva ottenere il M5S l’ha ottenuto: altri cambiamenti radicali sono preclusi. Per quel che riguarda il ceto medio, il vero asset vincente sono le tasse. Ridurre l’Irpef è la immaginifica cornucopia di consensi e su questa strada Conte si ritroverà una concorrenza spietata visto che sia la Lega (soprattutto) sia il Pd picchiano sullo stesso tasto. E come tutti gli altri competitor dovrà tener conto delle compatibilità economiche e dei paletti che il ministro Franco ha fissato: niente riforma in deficit.
Ma poi forse c’è un problema più di fondo. Il modello a cui sembra rifarsi l’ex avvocato del popolo è di tipo interclassista: dichiarandosi forza politica strutturalmente post-ideologica, né di destra né di sinistra, il tentativo è di pescare voti ovunque possibile, superando le logiche di schieramento e le attrattive di possibili contenitori elettorali. Un obiettivo che ricalca in qualche modo la Dc d’antan, partito interclassista per antonomasia che tuttavia un cemento ideologico l’aveva eccome, ed era l’anticomunismo in un mondo diviso in blocchi.
Niente di tutto questo è replicabile e l’interclassismo di fatto risulta una vaghezza inafferrabile. In realtà il ceto medio stesso – sempre che davvero sia questo il segmento a cui il partito di Conte si rivolge – è diventato poliedrico e perfino inafferrabile. La veste moderata e i toni volutamente pacati in grado di archiviare le pulsioni del Vaffa non possono bastare, sono importanti ma non sufficienti a delineare un’identità così forte in grado di attrarre voti. Al dunque lo sforzo dell’ex premier dev’essere centrato innanzitutto nel delineare un bacino elettorale cui rivolgersi e poi disegnare una strategia capace di convinzione. Un’asticella molto alta da saltare. Ma basta guardare alle Olimpiadi per capire che all’Italia di oggi nessun traguardo è precluso.