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Da Lady Huawei al boia. Così scoppia la guerra calda Cina-Canada

Un tribunale cinese conferma la condanna a morte del cittadino canadese Robert Schellenberg, accusato di traffico di droga. È l’ultima puntata di una crisi diplomatica fra Cina e Canada (e Stati Uniti) entrata in un’escalation senza fine e iniziata con l’arresto di Meng Wanzhou, numero due di Huawei. La sua estradizione negli Usa può accendere la miccia finale

I numeri non lasciano scampo: 100%. È questa, secondo le stime di ong internazionali, la percentuale con cui le corti cinesi emettono una sentenza di condanna al termine di un processo. Soprattutto se sul banco degli imputati c’è un cittadino straniero, magari di un Paese non amico.

È il caso di Robert Schellenberg, 36 anni, canadese, arrestato in Cina nel dicembre del 2018 con l’accusa di traffico di droga. La prima condanna, tre anni fa, a quindici anni di carcere. Poi il colpo di scena in appello, di fronte alla Corte intermedia del popolo di Dalian, che emette una sentenza capitale.

La condanna a morte è stata confermata questa mattina da una corte a Shenyang, nella Cina nord-orientale. E adesso una vicenda giudiziaria dai contorni indefiniti può innescare una crisi diplomatica senza precedenti fra Cina e Canada. Perché la storia di Shellenberg, ormai avviato al patibolo salvo un improbabile intervento della Corte Suprema cinese, è solo il tassello di un mosaico molto più grande.

Quello che da tre anni vede Pechino e Ottawa trascinati in una spirale di tensioni senza fine. Tutto inizia nel novembre del 2018, quando a Vancouver la polizia canadese arresta Meng Wanzhou, direttrice finanziaria di Huawei, figlia del fondatore Ren Zhengfei, tycoon, visionario, ex ufficiale dell’Esercito popolare cinese, padre e padrino di una delle più grandi aziende della telefonia mobile al mondo, nel mirino degli Stati Uniti con l’accusa di spionaggio.

Corruzione e riciclo di denaro sono i capi di imputazione per Meng, da tre anni al centro di un processo che ha fatto enorme scandalo in Cina. In questi giorni è attesa la svolta: il governo canadese potrebbe concedere agli Stati Uniti l’estradizione della numero 2 di Huawei. Il suo arresto, all’epoca salutato con favore dall’ex presidente americano Donald Trump, ha innescato una lunga scia di rappresaglie in Cina.

Da Pechino smentiscono: non c’è collegamento. Ma nulla sembra lasciato al caso. Dicembre 2018: Michael Kovrig e Michael Spavor, ricercatore e uomo d’affari, canadesi con lunghi trascorsi nell’ex Celeste Impero, sono arrestati con l’accusa di spionaggio. Lo stesso mese la prima condanna di Shellenberg, poi trasformata in giudizio di morte.

Quattro processi paralleli che si trascinano per tre anni. In Cina, nonostante le continue richieste dei famigliari e di decine di organizzazioni internazionali, agli imputati non è concesso rilasciare dichiarazioni, e per tutto il periodo della pandemia è negata qualsiasi visita consolare. Mercoledì prossimo arriverà la prima sentenza per Spavor.

È una partita a scacchi che si gioca nei tribunali, ma ha ripercussioni di portata globale. Lo scontro frontale fra il Canada di Justin Trudeau e la Cina di Xi Jinping è l’effetto collaterale della Guerra Fredda di Pechino e Washington. Nel giro di tre anni, un Paese che ha fatto da sempre della cautela diplomatica un punto di forza ha mollato gli ormeggi. Tanto che la crisi nata dal caso di “Lady Huawei” si è propagata come una macchia d’olio, rimodulando il tradizionale assetto della politica estera canadese.

Dapprima i bastoni fra le ruote a Huawei, dopo una campagna di pressione dell’alleato americano. Il Canada è l’unico Paese dei “Five Eyes” (alleanza di intelligence insieme a Usa, Uk, Australia e Nuova Zelanda) a non aver ufficialmente messo al bando l’azienda cinese dalla rete 5G, per evitare una rottura definitiva con Pechino, ma ha rimandato in là la gara per le frequenze abbastanza da permettere ai principali operatori nazionali di scegliere fornitori “affidabili”, come le europee Ericsson e Nokia.

Poi l’escalation diplomatica. La condanna del Parlamento canadese, a inizio 2021, del “genocidio” degli uiguri da parte del governo cinese. Dunque le sanzioni, a marzo, contro gli ufficiali del Partito comunista cinese (Pcc) responsabili di crimini in Xinjiang. Dalla Cina hanno risposto colpo su colpo. Sanzioni, accordi commerciali sospesi.

Ora l’accelerazione giudiziaria, che può costare la vita a Shellenberg e una pesante condanna ai due concittadini in carcere. Occhi puntati su Vancouver: questione di giorni, settimane al massimo, e si avrà il verdetto finale sull’estradizione della super-dirigente di Huawei. Potrebbero non essere abbastanza per chi, dall’altra parte, attende ormai l’arrivo del boia.

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