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G20, la (rischiosa) scommessa di Draghi. Parla Fabbrini

Spostando il baricentro della crisi afgana dal G7 al G20, Draghi cerca una mediazione con Cina e Russia e punta alla leadership europea. È una scommessa ambiziosa, ma ha dei rischi, spiega Sergio Fabbrini, direttore del Dipartimento di Scienze politiche della Luiss

Ha una dimensione tutta europea la leadership di Mario Draghi nella gestione della crisi afgana. Per Sergio Fabbrini, direttore del Dipartimento di Scienze politiche della Luiss, con Angela Merkel ed Emmanuel Macron in difficoltà, la presidenza italiana del G20 può trasformarsi in un test decisivo per mettere alla prova di fronte a Russia e Cina la solidità della politica di sicurezza europea. Senza però indebolire il fronte della Nato, “perché non possiamo farne a meno”.

Al G20 sull’Afghanistan Draghi si gioca la leadership europea?

Sì, e non è un caso che lo faccia in occasione di questo appuntamento. G7 e G20 riflettono due diverse visioni strategiche del mondo. Il G7 ha un’irriducibile gestione anglo-americana, soprattutto ora che grazie alla presidenza Johnson può rilanciare la special relationship con Washington. L’Europa continentale invece ha più interesse a puntare sul G20.

Perché?

Perché in quel consesso ci sono interlocutori privilegiati sotto il profilo commerciale, come la Cina, e Paesi rilevanti per la sicurezza europea, come la Russia. Draghi sta cercando di spostare nel G20 il baricentro della crisi afgana perché al suo interno la forza anglo-americana è diluita.

Gli conviene?

Sul piano tattico sì. La Germania è in evidente difficoltà: per quanto Merkel si muova e parli con i cinesi, deve fare i conti con un processo elettorale in corso e la possibile esclusione della Cdu dal prossimo governo. Non diversamente da Macron, che sta subendo l’iniziativa sovranista di Le Pen.

Quindi?

Al G20 Draghi ha margini maggiori, può esercitare una leadership sulla gestione dei rifugiati. Ma non facciamoci illusioni: l’Italia resta un Paese di medie dimensioni, militarmente ed economicamente più debole di Francia e Germania.

Dietro l’invito a muoversi da soli c’è un soffio di nuovo antiamericanismo in Europa?

Non è nuovo, l’antiamericanismo non è mai sparito dalle élites europee, specialmente dall’Europa meridionale, Francia inclusa. Draghi dovrà e saprà muoversi sul crinale: un conto è la critica, un conto è prendere il largo.

L’Ue torna a parlare di autonomia strategica. Ma può davvero essere autonoma dagli Stati Uniti?

Autonomia non è terzaforzismo, chi lo crede si illude. L’Ue può essere autonoma solo all’interno di un sistema di alleanze cui non è alternativa. Deve aspirare a costruire una capacità operativa che non dipende dall’aiuto di altri, ma per farlo serve una politica industriale, di investimenti tecnologici di lungo respiro. Draghi ha l’occasione di cambiare paradigma.

Quale paradigma?

Promuovere una visione europea della sicurezza e della politica estera. Martedì il Parlamento italiano ha approvato all’unanimità, dunque compresa Fratelli d’Italia, la proposta di una politica di sicurezza, militare ed estera europea. Non è cosa da poco. Draghi può riprendere il lavoro lasciato a metà, suo malgrado, da De Gasperi.

Ma era il 1954, era un’altra Europa.

La sfida rimane la stessa. All’epoca fu l’assemblea nazionale francese a bocciare la Ced (Comunità europea di Difesa, ndr), oggi ci sono resistenze simili. Attenzione: non si tratta di costruire un’alternativa alla Nato, ma di dare vita a una politica di sicurezza europea che stia sulle sue gambe. Se non ora, quando?



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