Con la chiara e dotta relazione del professor Javier Prades, “Il coraggio di dire io” si apre l’edizione 2021 del “Meeting per l’amicizia fra i popoli” di Rimini
La toccante, profonda e, al contempo, d’una chiarezza agostiniana, relazione d’apertura, “Il coraggio di dire ‘io'”, di Javier Prades, professore ordinario di teologia dogmatica, rettore della Università san Damaso di Madrid, ha letteralmente incantato l’uditorio, salutata, al termine, da un prolungato applauso. Prades ci ha portato tra i diversi modi di declinare il soggetto come apertura verso chi ci è di fronte. Si parte con l’ “io” di Søren Kierkegaard, che non deve fermarsi solo “alla speculazione intellettuale” ma aprirsi, mettersi in gioco. Ossia, aggiungiamo noi, lasciare la fase estetica per andare verso l’altro con la “a” minuscola che è anche la “A” maiuscola. E ci viene in mente l’“io” che si fa altro nello splendido Ordet (1955) di Carl Th. Dreyer, capolavoro cinematografico dedicato anche a Kierkegaard.
Prades chiosa, poi, il dramma dell’io nella poetica di Luigi Pirandello, citando Uno nessuno centomila. Il protagonista, Vitangelo Moscarda, “entra in crisi con la moglie e gli altri perché lo percepiscono diverso da come lui percepisce se stesso”. E a noi ci parte, per associazione di idee, il file di Serafino Gubbio, operatore che non sa è un uomo o una macchina. Prades, con il suo avvolgente racconto, ci conduce ora alle soglie del lager, ricordandoci della filosofa e santa Edith Stein, per la quale l’io trova se stesso abbracciando la croce senza dramma, con amore.
Ancora, il teologo Prades nota come molti racconti della fiction contemporanea, dalla musica al cinema, ci presentino una “espansione dell’io”, una sorta di ipertrofia soggettiva che, de facto, impedisce “una esplicitazione come persona”. Cita Nomadland (2020, di Cloé Zhao, premiato a Venezia e con tre Oscar) come esempio di io tradito
Tornando al Vangelo il rettore Prades ci fa riflettere sul pronome personale “io” presente nella semantica di Gesù. Del coraggio che Egli aveva di presentarsi, diremmo oggi, assumendosi le proprie responsabilità. “Vi è stato detto, ma io vi dico…”. In Gesù è chiara la coscienza di un “io” mai autoreferenziale, ma sempre enunciato in relazione a un “tu”. E questo dialogo, “io”-“tu”, ci viene dalla cultura ebraica. Quell’“io” inauguratosi con Abramo chiamato da Dio. Proviamo a riflettere, suggerisce Prades, che Abramo ha avuto il coraggio di dire “io” ascolto, e “grazie a lui è nato il popolo ebreo”; anche Pietro, riconoscendosi in un “io” disponibile a seguire il Messia, ha “fatto nascere il popolo cristiano”.
Il Meeting, di nuovo in presenza dopo la crisi pandemica del 2020, offre nella giornata di domenica diversi incontri di indubbio interesse. Si inizia con Pupi Avati (ore 13.00) che racconterà del suo nuovo film sulla vita di Dante, “grazie soprattutto a Boccaccio suo biografo”. Quel Dante “che a scuola ci hanno fatto odiare. Soprattutto dal punto di vista iconografico: sempre con quel nasone di profilo”. Avremo poi una riflessione sull’enciclica “Fratres Omnes” di Papa Francesco (ore 15.00), per chiudere con un tema di attualità sull’ambiente, “La transizione ecologica” (ore 17.00). I giovani, corrono da un padiglione all’altro, tra un panino e una birra, si incontrano, socializzano, si conoscono, L’io cerca il tu, qui a Rimini, e lo trova.