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Kabul è la nostra Saigon. Ecco chi pagherà il conto

La conseguenza del ritorno talebano in Afghanistan è il vuoto di potere americano e occidentale. Altri si precipiteranno per colmarlo: il grande gioco continua, il popolo afghano paga il conto. L’analisi di Stefano Stefanini, senior advisor dell’Ispi, già consigliere diplomatico del presidente della Repubblica e rappresentante permanente dell’Italia alla Nato

L’Afghanistan ritorna talebano. Dopo Kunduz, di Herat, di Kandahar, il turno di Kabul è solo questione di (poco) tempo. Spes ultima Dea, ma bisogna prepararsi ad affrontare uno Stato talebano nel centro dell’Asia, fra Medio Oriente, Asia centrale, Cina e Subcontinente indiano.

Il problema immediato è umanitario-immigratorio: sono in arrivo dure angherie per il popolo afghano, specie per la metà femminile e per le minoranze non Pashtun, a cominciare dagli Hazara sciiti. Le ricadute geopolitiche seguono a ruota. L’Afghanistan è strategico. Un paio di secoli di “grande gioco” e la carta geografica non mentono.

Di fronte ad un regime change violento, gli afghani stanno votando con i piedi: andandosene. Circa 30mila al giorno secondo stime recenti. Il numero può solo aumentare. Attraversano la frontiera iraniana e, soprattutto, pakistana. Gonfiano i campi rifugiati. Destinazione finale però Occidente. In Europa si arriva per le vie tortuose, e lucrative, dell’immigrazione clandestina.

Abbiamo un doppio dovere morale. Innanzitutto, portar via (“esfiltrare”) via chi ha lavorato per noi: interpreti, autisti, impiegati vari; il piano di evacuazione italiano è in difficoltà, per quelli che dovevano venire da Herat è finita. Adesso l’aeroporto è in mano talebana.

In secondo luogo, accogliere quelli che approderanno in qualche modo alle nostre frontiere, via Mediterraneo o Balcani. Se i figli avranno la cittadinanza per ius soli, tanto meglio: sarà qualche medaglia olimpica in più. Va da sé che i rimpatri in Afghanistan vanno sospesi sine die. Fa onore all’Italia non essersi associata ai sei paesi Ue che chiedevano di mantenere le deportazioni, come se niente stesse succedendo. Quanto ai rifugiati che rimarranno nei campi, bisogna non fa mancare all’Unhcr le risorse necessarie per assisterli.

Ma quali sono i contraccolpi politici del ritorno al potere talebano? È sempre bene guardarsi dalle grandi previsioni, ma utile cominciare a pensare a cosa cambia. L’Afghanistan è stato teatro di un ventennale impegno degli Stati Uniti e della Nato, più Ue, Onu e vari altri paesi occidentali, come Australia e Giappone.

Il momento in cui questo impegno cessa e la situazione del Paese torna apparentemente al regime preesistente detto impegno,il rimescolamento di carte è inevitabile. Per questo, e non soltanto per i timori di una fuga disordinata dalle ambasciate di Kabul, incombe il precedente di Saigon nel 1975 che pure rappresentò la fine di lungo impegno militare (quasi solo americano) e apriva una stagione di incertezze strategiche in Asia sud-orientale e nel Pacifico.

Sull’Afghanistan si possono fare tre ordini di considerazioni: nazionale, regionale e internazionale. I talebani del 2021 sembrano avere una base territoriale ben più ampia dei loro predecessori. Il regime di Mullah Omar non controllò mai l’intero paese.

Aveva la sua base fortemente Pashtun ma non debellò mai l’Alleanza del Nord, al punto di ricorrere a un attentato per liberarsi del mitico comandante tagiko Ahmed Shah Massoud, proprio alla vigilia dell’11 settembre.

E fu l’Alleanza del Nord, sostenuta dall’aviazione e reparti speciali americani, a mettere in fuga talebani e Al Qaeda. Gli allora potenti “signori della guerra”, come Ismail Khan, a Herat erano attivamente anti-talebani.

Oggi i nuovi “studenti” stanno accerchiando la capitale non solo dal Sud Pashtun, ma anche dal Nord tagiko-uzbeko e dal feudo di Ismail Kahn. Da dove viene questa rinnovata forza? Consenso di etnie e clan precedentemente ostili? Aiuti frontalieri via paesi confinanti, Uzbekistan e Tajikistan (con Cina limitrofa) a Nord, Iran a Ovest? Tutti in passato, per un motivo o per l’altro, poco ben disposti verso il fondamentalismo talebano.

Eppure, questo ritorno al potere degli epigoni di Mullah Omar non è certo di buon auspicio per la stabilità regionale. I paesi secolari dell’Asia centrale e la Cina, alle prese gli uni con il jihadismo interno, la seconda con la repressione della maggioranza musulmana uigura del Sinkiang, avranno una spina fondamentalista esterna che, come minimo, può dare ispirazione ai fondamentalisti interni. L’Iran, grande protettore internazionale degli sciiti, si deve domandare come i talebani tratteranno la minoranza Hazara, in passato apertamente perseguitata.

Il Pakistan che, per equilibri interni e per non avere un Afghanistan sotto influenza dell’India, ha sempre strizzato un occhio ai talebani è forse il vicino più rassicurato, ma al prezzo di connivenze frontaliere (ci sono anche i talebani pakistani), ondata di rifugiati e nuovi irritanti con Delhi.

Agli equilibri regionali faceva comodo l’Afghanistan internazionalizzato dalla presenza (e sacrifici) Usa e Nato. Eppure, il tentativo americano di supplire alla ritirata occidentale con l’impegno regionale e internazionale è sostanzialmente fallito. C’è stata qualche buona parola, vaghe mediazioni di Qatar e Turchia, ma risultati zero.

La spiegazione, oltre che nell’impermeabilità talebana ad influenze esterne, va cercata nel calcolo strategico delle due grandi potenze, Cina e Russia, e dell’Iran. Quand’anche non abbiano attivamente aiutato i talebani – ci sono voci ma non prove – sono arrivate alla conclusione che un’Afghanistan talebano sia un modesto prezzo da pagare per l’uscita di scena degli Stati Uniti e della Nato e per la conseguente perdita di prestigio e credibilità occidentale. Quanto più con la coda fra le gambe, tanto meglio per Mosca, Pechino e Teheran. La Cina in particolare si prenota per approfittarne, facendo capire di essere pronta a riconoscere il governo talebano appena si sarà insediato a Kabul.

La conseguenza diretta del ritorno dei talebani in Afghanistan è il vuoto di potere americano e occidentale. Altri si precipiteranno per colmarlo. Il grande gioco continua. Il popolo afghano paga il conto.

 

 

Lerici, 13 agosto 2021

 

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