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Mps, per Unicredit non sarà una passeggiata. Il commento di Polillo

Se l’operazione Mps si concluderà con lo scambio carta contro carta il Tesoro potrebbe diventare il primo azionista del nuovo gruppo. Cosa che non dovrebbe fare particolarmente piacere almeno ad una parte degli azionisti maggiori di Unicredit…

Sono stati in molti a chiedere al ministro dell’Economia, Daniele Franco, di rinviare. Si negozi con Bruxelles una nuova proroga per Mps – questo l’auspicio – per evitare la mannaia di fine anno, quando la partecipazione maggioritaria dello Stato, il 64%, dovrà comunque essere dismessa. Nel frattempo, approfittando anche della prima semestrale positiva della Banca senese, si cerchi un altro cavaliere bianco. E poco importa se alla fine lo sposo – padrone dovrà comunque essere Unicredit. Lo spauracchio di una possibile concorrenza avrà permesso al Tesoro di trattare da una posizione di forza e spuntare un accordo migliore.

Parole di buon senso. Che non potremmo che sottoscrivere se non conoscessimo la storia della banca più antica del mondo e il suo triste declino. Che non fu conseguenza di un destino “cinico e baro”, ma di quel combinato tra affari e politica che ha sempre fatto della banca – fondazione-comune-provincia e regione la roccaforte toscana del principale partito della sinistra italiana.
Questo almeno fino al 25 giugno 2018, quando Luigi De Mossi, candidato indipendente, sostenuto dal centro destra, divenne sindaco della città.

Fu la prima volta in tutto il periodo del dopoguerra. Una sorta di miracolo: considerato lo scarto al ballottaggio di soli 378 voti, nei confronti del suo sfidante di sinistra e sindaco uscente Bruno Valentini. Nella richiesta di avere maggior tempo a disposizione, si sommano esigenze diverse. Da quelle più politiche, legate alla contingenza elettorale delle suppletive di ottobre, quando Enrico Letta – lui pisano a Siena – dovrà tentare di conquistare il seggio di Pier Carlo Padoan, a sua volta diventato presidente di Unicredit, a quelle di natura economica, o presunte tali, sulle quali é bene concentrare l’attenzione. Perché saranno queste ultime, alla fine, a condizionare la scelta definitiva.
Ma partiamo pure dall’ultima semestrale della banca, approvata proprio in questi ultimi giorni. Lascia intravedere un barlume di miglioramento, ma non certo un’invenzione di tendenza. I dati sono noti. L’utile del secondo trimestre é stato pari a 82 milioni, seppure in lieve calo sul primo. Nel semestre pari a 202,1 milioni. Invertendo la tendenza degli anni passati, costantemente in perdita. E con il ritorno all’utile, tutti gli altri parametri sono migliorati.

Tutti meno uno: forse il più importante. Il rapporto costi – ricavi continua ad essere squilibrato: pari al 68,5%, che sale al 73,5 se riferito a quelli primari. I ricavi sono aumentati del 7,7%, trainati dalle commissioni e dal trading, ma l’eccesso di personale pesa sui costi, in misura eccessiva. La pandemia, paradossalmente, ha dato ossigeno al sistema bancario, aumentando il risparmio nazionale. Di conseguenza é cresciuta la domanda per le gestioni patrimoniali: cosa che spiega il maggior peso delle commissioni sugli utili di azienda. Ma quel 7,7% di aumento é comunque poco rispetto al 13%, realizzato da Banca Intesa nello stesso periodo.

Se la semestrale sposta poco, c’é, invece, una ragione di carattere sistemico, che spinge verso una rapida soluzione. Come si é visto negli stress test dell’Eba, la banca senese é quella che sta peggio di tutte i 50 istituti di credito testati, a livello europeo. In caso di avverse condizioni il suo capitale verrebbe completamente azzerato. Subito dopo, a tre lunghezze di distanza, viene Bpm e dopo altre otto la stessa Unicredit. Molto più lontana – un’altra decina di posizioni – Banca Intesa. Ed infine la più solida delle banche italiane, rappresentata da Mediobanca.

La posizione di Unicredit, sebbene lontana anni luce dalla crisi di Mps, non é così brillante come potrebbe apparire. In prospettiva necessita di una forte cura ricostituente che non può che derivare dal merger con altri istituti. L’importante é la complementarità del business. La possibilità di espandersi nei più ricchi territori del centro – nord, dove si guadagna con la crescita di quelle commissioni, sulle gestioni patrimoniali, che rappresentano il principale driver degli utili aziendali.

In quelle zone operano sia Mps, sia Bpm. Una possibile alternativa che, in passato é stata oggetto di attenzione, anche se poi, come spesso capita nel risiko bancario, lasciata, ma non é detto, cadere. Al momento Unicredit sembra essere orientata verso MPS, seppure con più di un incertezza. Le dimissioni del suo ad Jean Pierre Mustier, lo scorso 30 novembre, proprio a causa della sua contrarietà nei confronti della Banca senese, lo dimostrerebbero. Anche se, come spesso capita in queste vicende, le ricostruzioni sono state diverse.

Sta, comunque, il fatto che quel disegno – il possibile merger – ha preso nuova forza dopo l’elezione alla presidenza di Padoan e la nomina di Andrea Orcel come amministratore delegato: lo stesso personaggio che, in un’altra vita, aveva curato, per conto di Merrill Lynch, l’acquisizione di Antonveneta da parte di Mps. Corsi e ricorsi della storia. Non si dimentichi infine quale é la struttura di controllo di Unicredit. Si é di fronte ad una public company, con un flottante pari al 100 per cento delle azioni.

Gli azionisti con quote rilevanti (superiori al 3%) rappresentano il 16% del capitale. Il che determina l’insorgere di un doppio rischio. Se l’operazione Mps si concluderà con lo scambio “carta contro carta” il Tesoro potrebbe diventare il primo azionista. Cosa che non dovrebbe fare particolarmente piacere almeno ad una parte degli azionisti maggiori. I quali, di fronte ad eventuali pretese ritenute eccessive o ritardi nell’operazione, potrebbero far pendere il piatto della bilancia, nuovamente, a favore di Bpm.

É il paradosso della situazione. Gli attendisti sperano di lucrare sulla possibile competizione tra più pretendenti in vista di un possibile matrimonio. Quando invece Unicredit non deve fare nulla per cercare una possibile alternativa. Ma solo riallacciare antichi rapporti con un ex (Bpm) in precedenza a lungo corteggiata. Anche solo come elemento di pressione nei confronti del Tesoro italiano. Quindi attenti: la partita é molto più complicata di quanto, a prima vista, potrebbe sembrare.

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