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Cara Nato, ora non è tempo di divisioni e fughe in avanti. Firmato Stefanini

Se la Nato si divide, se i governi alleati procedono in ordine sparso, l’insuccesso militare diventa una rotta politica che mina le fondamenta dell’Alleanza. Il commento di Stefano Stefanini, già consigliere diplomatico del presidente della Repubblica e rappresentante permanente dell’Italia al Consiglio atlantico

La sfida che attende i ministri degli Esteri della Nato è di mettere la solidarietà atlantica al riparo dai contraccolpi della disfatta – chiamiamola col suo nome – in Afghanistan. Si comincia con l’unità fra tutti gli alleati nei rapporti con il governo dell’Emirato islamico dell’Afghanistan. Arrivati al potere con le armi e il terrore, i Talebani vogliono legittimarlo. Vogliono il riconoscimento internazionale. Se la Nato si divide, se i governi alleati procedono in ordine sparso nel concederlo o meno e nelle condizioni cui sottoporlo, l’insuccesso militare diventa una rotta politica che mina le fondamenta dell’Alleanza. Alle sconfitte si sopravvive proprio serrando le fila. La discordia non lascia scampo.

L’Afghanistan ha dissipato l’euforia atlantica. L’atmosfera intorno al tavolo (virtuale) dei ministri degli Esteri è ben diversa da quella del vertice di giugno che rilanciava la Nato come cerniera strategica fra Nord America e Europa. Inutile far finta di niente. Meglio astenersi dalle solite dichiarazioni sulla “più grande alleanza di tutti tempi”, essere asciutti nelle giustificazioni, non scaricare tutte le colpe sul liquefatto esercito afghano – chi lo addestrava? – per rimboccarsi le maniche su come gestire il dopo Afghanistan. Questa ministeriale è il primo passo, quindi importante.

L’operazione è stata massiccia, durata quasi vent’anni. L’Alleanza vi ha sacrificato molte vite umane, investito risorse notevoli e capitale politico. La riunione dei ministri si tiene mentre non è ancora terminata e non terminerà fino a che l’ultimo uomo o donna, cittadino di Paese Nato e partner o collaboratore afghano, non sarà stato portato in salvo dall’aeroporto di Kabul. È un italiano, Stefano Pontecorvo, rappresentante civile dell’Alleanza, a farsene personalmente garante sul terreno. Questa fuga da Kabul è il triste epilogo di un impegno generoso, cominciato sotto ben altri auspici che molti sembrano oggi archiviato – abbiamo dimenticato che l’Afghanistan era la “guerra giusta” che rispondeva a un’aggressione (11 settembre) e tutelava diritti umani, minoranze perseguitate e condizione della donna? – ma che fino all’ultimo vede tutti gli Alleati insieme di fronte alla sfida.

Per la Nato l’Afghanistan si è retto tutto questo tempo – e non è stato facile – su una semplice preposizione “In together, out together”. Quante volte chi scrive l’ha ascoltata nelle riunioni del Consiglio atlantico, nei corridoi di Bruxelles e nelle basi militari in Afghanistan. Non era retorica. L’impegno è stato onorato fino alla scadenza. Sarebbe tragico se, dopo essere stati uniti nelle avversità sul terreno, nei sacrifici, nell’affrontare rischi e attentati, gli alleati si dividessero nella politica del “dialogo con Kabul” talebana.

La Nato si lascia dietro un Afghanistan cambiato – in meglio. I Talebani si ritrovano una società dove le donne hanno riacquistato dignità, studiano, lavorano – parlano. Ci sono radio, informazione, social media. I nuovi padroni di Kabul stanno promettendo di non calpestare tutto. Vedremo. Può darsi che il dialogo sia il modo migliore per proteggere questo lascito dell’Alleanza alla popolazione afghana. Di conseguenza proprio su questo “dialogo” la Nato deve rimanere unita. Certo non concedere nulla ai Talebani prima che dimostrino di non essere tornati alle vecchie abitudini.

Il ritiro è stata una decisione unilaterale statunitense. Gli europei l’hanno accettata. L’amministrazione Biden deve ora capire che il dopo ritiro militare è materia per una genuina concertazione con gli alleati europei. Che vanno ascoltati e presi in considerazione. Sul nostro versante, le buone intenzioni ventilate verso Kabul ventilate dall’Unione europea vanno subordinate alla solidarietà atlantica. Sull’Afghanistan la Nato ha la precedenza. Quanto ai battitori liberi, come la Turchia, devono capire che uno strappo sui rapporti col governo talebano significa mettere seriamente in questione il ruolo politico dell’Alleanza.

La Nato ha perso in Afghanistan migliaia di “eroi” come il presidente del Consiglio Mario Draghi ha giustamente chiamato i 54 caduti italiani. Rimanere uniti nel come trattare i Talebani vincitori è la maniera migliore di onorarli. “In together, out together” anche nella politica.



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