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L’EuroDrone e la partita per i motori. Il punto di Michele Nones

Sull’EuroDrone si sta consumando una partita delicata. Per i motori concorrono l’italiana Avio Aero (con il nuovo motore Catalyst) e la francese Safran. In un mondo perfetto il prime contractor Airbus Germany dovrebbe proporre ad Occar la soluzione migliore per costi, prestazioni, affidabilità, maturità tecnologica. Nel mondo reale, invece, soprattutto in Francia e in Germania è partita una campagna di opinione di sostegno alla proposta francese. L’analisi di Michele Nones, vice presidente Iai

All’inizio del prossimo autunno verrà scelto il motore dell’European Male Rpas, il velivolo a pilotaggio remoto a media altitudine e lunga autonomia che i quattro principali Paesi europei stanno sviluppando e che alla fine di questo decennio consentirà loro di svolgere missioni di intelligence, sorveglianza, acquisizione obiettivi e ricognizione con un sistema europeo. Il programma rientra fra quelli Pesco, la cooperazione strutturata per la difesa europea, e ha ricevuto anche un cofinanziamento dell’Unione ruropea nell’ambito dell’Edidp, il programma pilota per aumentare le capacità tecnologiche dell’industria europea della difesa in vista dell’Eed, il nuovo fondo europeo per la difesa. Il costo complessivo del programma per la realizzazione di venti sistemi è di 7,9 miliardi di euro e l’Italia vi parteciperà per il 24% con una spesa di 1,9 miliardi di euro per cinque sistemi.

Il programma ha un’importanza strategica per l’Europa perché per la prima volta i maggiori Paesi si sono accordati per sviluppare un sistema comune in uno dei settori in cui si concentrano le maggiori sfide tecnologiche, quello dei velivoli a pilotaggio remoto ad alte prestazioni. Per questo è importante farne parte non solo nella componente velivolistica, equipaggiamenti, sistemistica, ma anche nella propulsione. Non è solo per il valore dell’eventuale commessa di quest’ultima (circa 500 milioni di euro), ma per la prospettiva di diventare il riferimento per questo tipo di motori.
I due concorrenti sono l’italiana Avio Aero con il nuovo motore Catalyst e la francese Safran con il motore di derivazione elicotteristica Ardiden TP3.

In un mondo perfetto il prime contractor Airbus Germany dovrebbe proporre ad Occar, l’agenzia europea che gestisce il programma, la soluzione migliore sul piano dei costi, prestazioni, affidabilità, maturità tecnologica. Nel mondo reale, invece, soprattutto in Francia e in Germania è partita una campagna di opinione di sostegno alla proposta francese, instillando dubbi strumentali sul livello di maturazione raggiunto dal Catalyst (che, invece, ha accumulato tremila ore di funzionamento sui sedici prototipi ed è già stato scelto per il nuovo velivolo Denali da Beechcraft, gruppo Textron, leader mondiale nel settore dell’aviazione generale), ma, soprattutto, sui rischi per la sovranità tecnologica europea. Questa verrebbe ad essere indebolita sia per il rischio di dover utilizzare componenti soggette al controllo americano Itar (applicato all’esportazione di prodotti militari), sia per l’identità nazionale di Avio Aero (gruppo Generale Electric).

Per quanto riguarda il primo aspetto, Avio Aero ha ripetutamente smentito la presenza di componenti di importazione/licenza americane. Il motore Catalyst è stato sviluppato a partire dal 2015 esclusivamente in Italia e in Europa, basandosi anche sulle competenze di altre consociate europee di Avio Aero in Germania, Polonia e Cechia. Obiettivo esplicito e dichiarato era proprio quello di avere per la prima volta dopo la Seconda guerra mondiale un propulsore europeo nella classe 1.100-1.300 cavalli, pensato in primo luogo per l’Euromale, riempiendo un vuoto che mina l’indipendenza e sovranità tecnologica dell’Unione. Usare ora questa stessa motivazione contro il progetto a guida italiana è una chiara dimostrazione di malafede.

Per quanto il secondo aspetto, l’identità nazionale di Avio Aero, vale la pena di ricordarne la sua storia ultracentenaria. Il primo motore aeronautico dell’allora Fiat, il Fiat SA 8775, derivato dalle auto da competizione, venne avviato alla produzione di serie nel 1908. Otto anni dopo la Fiat fonda una consociata, la Società Italiana Aviazione, ridenominata nel 1918 Fiat Aviazione. Nel 2003 diventa una società autonoma, la Avio, controllata dal Fondo americano Carlyle (70%) e da Finmeccanica (30%). Nel 2006 subentra il Fondo inglese Cinven (85%) e scende la quota di Finmeccanica (15%). All’inizio dello scorso decennio viene tentata la trasformazione in public company, ma la debolezza del mercato borsistico italiano porta, alla fine, a preferire la strada della cessione: in pista due grandi gruppi motoristici, l’americana GE e la francese Safran. Alla fine di dicembre 2012 viene preferita la proposta di GE che acquisisce il controllo totale della parte motori (con una società denominata Avio Aero), mentre la parte lanciatori viene assegnata ad una società (Avio) che, poi, dal 2017, entra in borsa, ma ha Finmeccanica come socio di riferimento col 28%.

Nel frattempo, proprio con riferimento alle trattative per la cessione del gruppo motoristico nazionale il governo decideva di intervenire, integrando questa esigenza con quella di sanare il contenzioso con la Commissione europea sulla normativa italiana sulla golden share. Veniva cosi emanato il Decreto legge 15 marzo 2012 n. 21 per esercitare il controllo del governo (“poteri speciali”) sugli assetti proprietari e sulle “attività strategiche” e “strategiche chiave” (golden power), articolato in due parti: la prima su difesa e sicurezza nazionale e la seconda su energia, trasporti e comunicazioni. Per garantire formalmente gli impegni di GE a tutela degli interessi nazionali, veniva accelerata la definizione del regolamento per l‘individuazione delle attività di rilevanza strategica nei settori della difesa e della sicurezza nazionale, approvando il Dpcm 30 novembre 2012 n. 253.

Dopo aver ottenuto una serie di impegni formali da parte di GE nel dicembre 2012, propedeutici all’approvazione dell’acquisto da parte del governo, il 6 giugno 2013 il presidente del Consiglio dei ministri, su proposta dei ministri dell’Economia e finanze e della Difesa e su delibera del Consiglio dei ministri, fissa con un proprio decreto le condizioni a cui dovranno attenersi GE e Avio. Fra queste vi è quella di “garantire la continuità delle attività di produzione, manutenzione, revisione e supporto logistico dei sistemi di propulsione” forniti “alle Forze armate e alle altre amministrazioni pubbliche, nonché la continuità … necessaria per assicurare il rispetto degli impegni assunti nell’ambito dei programmi di collaborazione internazionale a cui partecipa l’Italia”.

E ancora: ”non assumere alcuna decisione che possa ridurre, anche temporaneamente, o cedere capacità tecnologiche o industriali nelle attività strategiche …”; ”nell’ambito delle attività strategiche … (ivi inclusi i programmi di cooperazione internazionale militare di cui l’Italia è parte) impiegare prevalentemente personale di nazionalità italiana”; prospettare “preventivamente al ministero della Difesa le strategie per il rafforzamento e il consolidamento delle proprie attività nei settori della propulsione aerospaziale e navale … se queste possono avere ricadute dirette o indirette sulla politica di difesa italiana nei confronti dell’Europa e di altri Paesi partner dell’Italia”.

In quest’ottica i dirigenti preposti all’export militare e alla sicurezza dovranno essere cittadini italiani. Viene, inoltre, costituito presso il segretariato generale della Difesa/Direzione nazionale degli armamenti un Comitato paritetico composto dai vertici del gruppo aerospaziale, da un rappresentante del ministero dell’Economia e da due del ministero della Difesa (uno dei quali lo presiede). Infine, viene previsto un rapporto annuale della società al ministero della Difesa in merito agli impegni assunti e la nomina di un dirigente responsabile delle relazioni col dicastero.

Con due pagine di prescrizioni Avio Aero è diventata così la società più “controllata” nel sistema industriale italiano e, quindi, dovrebbe essere considerata ultra-affidabile anche in sede europea. In questi ultimi nove anni l’attività della società è stata coerente con gli impegni assunti e governo e ministero della Difesa non hanno mai dovuto fare osservazioni o rilievi sulla sua attività.
Avio Aero è a tutti gli effetti una impresa italiana (al di là della proprietà) e i dubbi strumentali sulla sua “identità nazionale” dovrebbero essere rispediti al mittente.

Ma questa è anche l’occasione per il governo italiano di rivendicare la sua “sovranità”. Con una normativa che può essere considerata un modello a livello internazionale sul piano della efficacia e della trasparenza (basti dire che le prescrizioni a carico dell’investitore e della società interessata sono definite con un decreto del presidente del Consiglio dei ministri), quando un investimento estero è approvato, non sono accettabili dubbi immotivati sulla perdita dell’identità italiana dell’impresa coinvolta. È il governo italiano ad assumersene la responsabilità e a dover pretendere il rispetto degli altri partner e delle istituzioni europee. E se qualcuno di loro vuole dei chiarimenti, abbiamo innumerevoli sedi per farlo in maniera amichevole senza compromettere la fiducia reciproca. È anche in questo modo che si può costruire la fiducia nel processo di integrazione europeo.



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