I partiti hanno tutto il diritto, forse perfino il dovere, di ingaggiare battaglie identitarie per darsi un profilo. Ma la corsa dei partiti a piantare bandierine al vento, dalla Lega con l’immigrazione al Pd con lo Ius Soli, è destinata a far ballare e non poco il governo in autunno. Il mosaico di Carlo Fusi
In politica, avere un avversario è fondamentale. Nel confronto-scontro con le altre forze politiche, infatti, si forgia l’identità, si definiscono le parole d’ordine, si mobilitano i like (una volta sarebbero stati i militanti, ma sono archeologia). Per questo quando l’avversario non c’è, si crea.
In un Paese come il nostro, il randello del “contro” funziona sempre di più e sempre meglio rispetto alla ricerca delle regioni del “per”, considerato segnale di debolezza se poi s’offusca il totem contro cui scagliarsi.
In uno scenario siffatto, è comprensibile lo smarrimento dei tanti partiti, piccoli e grandi, che formano la maggioranza a sostegno del governo Draghi. Se l’avversario ora è alleato, se Pd e Lega votano insieme, se M5S e Italia Viva stanno dalla stessa parte, è facile dedurre che si produce uno sconvolgimento nel Dna di forze politiche che si sono costruite e hanno vissuto nell’attacco continuo all’altro.
È quello che sta succedendo in questa fase. L’emergenza costringe allo stare insieme, ma stare insieme è considerato controproducente ai fini del mantenimento di punti di riferimento vitali per distinguersi. E poiché staccarsi dal treno che guida Super Mario è impossibile e addirittura politicamente ancor più controproducente, ecco che l’avversario va cercato su altre sponde, innalzando bandiere da difendere anche nel deserto dei Tartari, menando fendenti ovunque possibile anche a costo di produrre lo stesso risultato delle sciabolate di don Chisciotte.
Di più. La costrizione ad abbandonare o almeno a ridurre al lumicino il fattore “contro”, obnubila del tutto quello “per”. Il risultato è che i partiti della larga nonché strana maggioranza lasciano a Draghi ed ai ministri del suo esecutivo il compito di fare il lavoro sporco, di prendere decisioni e adottare misure che possono diventare impopolari o anche impostare i provvedimenti che realizzano il Pnrr e scrivere le riforme che vuole l’Europa, mentre inanellano duelli su vessilli ideologici che pure hanno il loro spessore ma praticabilità vicino allo zero.
È il caso della legge Zan, dello Ius Soli, dell’immigrazione, del referendum contro il reddito di cittadinanza. Iniziative che servono ad allenare i muscoli della contrapposizione più che segnare realistiche intese da portare a compimento.
È un atteggiamento che alla grancassa ufficiale che va bene per media e talk show e fa da colonna sonora alle mosse da pifferai di Hamelin, affianca una lotta sotterranea nel nome di un traguardo da raggiungere per vincere la partita e che si chiama supremazia.
Se Salvini blocca il Green pass o riesce a svellere il ministro Lamorgese, potrà affermare che il governo è diventato a trazione leghista: quale maggiore vittoria da sbandierare? Idem per Letta con lo Ius soli: se dovesse passare, l’esecutivo indosserebbe il mantello della sinistra: quale altra leadership potrebbe vantarsi di un simile successo?
I partiti hanno tutto il diritto e per certi versi anche il dovere di portare avanti battaglie in nome di principi che li definiscono e ne rafforzano il profilo. Ma è evidente che il governo Draghi, figlio delle scelte e del coraggio di Sergio Mattarella, è nato su presupposti di tutt’altro genere: precisamente sulla necessità (e anche convenienza ai fini degli interessi nazionali) di deporre le armi e lavorare di concerto per traguardi non di parte bensì legati alla possibilità che l’Italia si metta in grado di afferrare l’opportunità fondamentale offerta dalla Ue, con risorse mai viste prima, di superare manchevolezze storiche e riprendere il cammino dello sviluppo e della crescita.
La qual cosa determina un doppio paradosso. Da un lato i partiti continuano a fare come prima ignari del fatto che le cose sono cambiate in profondità; dall’altro un governo che agisce in una sorta di distanziamento con chi lo sostiene, ogni volta riassestando la barca rispetto alle incursioni di questa o quell’altra parte. Se è così, è logico che si balli. E in autunno il beccheggio diventerà frenetico. Ci sarebbe da capire a chi giova.