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Vi spiego la confusione dei sindacati sul green pass

Landini e i colleghi non possono pensare che sia possibile “tenere tutto”: garantire la sicurezza e la salute della grande maggioranza dei lavoratori e nello stesso tempo consentire ai “renitenti” il diritto di mettere a rischio la propria salute e quella degli altri, in nome di un concetto di libertà più peloso di un orso bruno. L’analisi di Giuliano Cazzola

Mario Draghi ha consultato i segretari generali di Cgil, Cisl e Uil sull’introduzione del green pass sui luoghi di lavoro. Il premier è consapevole, infatti, che non avrebbe senso limitarne l’uso nei locali fino ad ora coinvolti, dimenticando che tutti i giorni vi sono milioni di persone che salgono sui mezzi pubblici per recarsi al lavoro, entrano nelle fabbriche, nelle aziende e negli uffici, dove rimangono per diverse ore a contatto con colleghi ed altri, in attesa di ripercorrere in senso inverso il percorso del mattino.

Va riconosciuto che i leader sindacali sono persone ragionevoli e che, in pochi giorni, si sono resi conto di aver avuto una reazione eccessiva nei confronti delle proposte della Confindustria. Il primus inter pares della terna il leader della Cgil, Maurizio Landini, ha dichiarato alla fine dell’incontro: “Nulla in contrario sul principio all’estensione del green pass ma non può diventare strumento da usare per licenziare e discriminare lavoratori e lavoratrici. Siamo disponibili ad aprire un confronto con le associazioni datoriali per migliorare i contenuti dell’accordo” ovvero ai Protocolli sulla sicurezza stipulati con le associazioni datoriali nell’aprile 2020, che hanno meritoriamente consentito la riapertura di importanti settori strategici e garantito una relativa protezione ai lavoratori, tornati a varcare le soglie delle aziende (anche se non va mai dimenticato che dall’inizio della pandemia sono stati denunciati 175mila infortuni sul lavoro da covid-19 con 600 decessi).

C’è da presumere, allora, che il confronto tra le parti aggiornerà le disposizioni previste, quando ancora non erano disponibili i vaccini, tenendo conto del salto di qualità esistente nello scenario delle somministrazioni di massa. Del resto, è ormai chiaro che il coronavirus con le sue varianti continuerà a far parte o della nostra vita quotidiana e che è necessario attrezzarsi per durare – come si diceva un tempo – più a lungo di lui. Landini e i colleghi, però, non possono pensare che sia possibile “tenere tutto”: garantire la sicurezza e la salute della grande maggioranza dei lavoratori e nello stesso tempo consentire ai “renitenti” il diritto di mettere a rischio la propria salute e quella degli altri, in nome di un concetto di libertà più peloso di un orso bruno.

Prendiamo – tanto per sviluppare un ragionamento – il caso del fumo. Durante il lockdown dei primi mesi le tabaccherie sono rimaste aperte perché fornitrici di beni essenziali. Eppure da decenni i tabagisti possono fumare solo in casa loro, nei locali riservati che diventano ben presto camere a gas, all’aperto. Poi per acquistare sigarette ci sono limiti di età e occorre non spaventarsi delle minacce scritte sui pacchetti. I limiti e i divieti non costituiscono solo un avvertimento per chi fuma, ma sono posti anche a tutela di chi subisce il fumo passivo. Nelle aziende, un dipendente fumatore non può esercitare la sua dipendenza in mezzo agli altri. Ovviamente Landini può dire che ci sono delle differenza tra il tabagismo e il Covid-19. Potremmo ricordargli – anche perché non riesce a metterselo in testa – che contrarre il Covid in occasione di lavoro è considerato infortunio e che l’imprenditore è sempre responsabile della salute e della sicurezza di propri dipendenti (articolo 2087 c.c.).

Il Tribunale di Modena, pochi giorni or sono, ha osservato che, ai sensi del D.L.vo n. 81/2008 (il codice sulla sicurezza del lavoro), l’imprenditore è garante della salute e della sicurezza sia degli altri dipendenti che dei terzi. Il rifiuto della vaccinazione se pur non può dar adito, secondo il Tribunale ,a provvedimenti di natura disciplinare, può avere, tuttavia, delle conseguenze sul piano dell’oggettivo impedimento a svolgere determinate mansioni, soprattutto se a contatto con altre persone, anch’esse dipendenti o terzi. Pertanto, lo stesso Tribunale con ordinanza n. 2467 del 23 luglio 2021, ha riconosciuto la piena legittimità del provvedimento di sospensione dal lavoro senza retribuzione adottato da un datore di lavoro operante in una RSA ove due addetti con mansioni sanitarie avevano rifiutato di vaccinarsi contro il Covid -19. Ma l’aspetto che lascia interdetti nella posizione di Landini e di altri è la particolare considerazione rivolta ai “renitenti” che diventano “più uguali” dei colleghi vaccinati.

Si è chiesto il leader della Cgil se in una squadra di operai non insorgano preoccupazioni nei confronti di alcuni colleghi che rifiutano di vaccinarsi? Esiste forse un’etica superiore che induce dei lavoratori a mettere a rischio la propria salute in difesa di un collega imbecille? Landini dice che questi lavoratori non devono essere discriminati né adibiti ad altre mansioni. Che cosa deve fare il datore? Smontare l’organizzazione del lavoro per mettere in piedi un reparto in cui i “renitenti” stanno insieme svolgendo ciascuno le proprie mansioni? Potrebbe permetterselo una piccola impresa? Poi non si tratterebbe di un “reparto confino” dal punto di vista sanitario, magari con spogliatoi, bagni e locali della mensa separati? Se ci fosse la possibilità di avvalersi dello smart working potrebbe essere una soluzione; ma per quali mansioni e per quanto tempo?

Tornando a Modena, il Tribunale ha ritenuto, dopo aver verificato l’inesistenza di alternative, di giudicare corretto il comportamento del datore che ha proceduto a sospendere i due dipendenti senza la corresponsione di alcuna retribuzione. Ma per quanto può proseguire un rapporto nel quale sono venuti meno gli oggetti stessi: la prestazione e la retribuzione. Per mesi? Per anni? Non scherziamo. La sospensione del rapporto senza retribuzione non può che essere un fatto temporaneo, destinato, in breve, a chiudersi – rebus sic stantibus – con una risoluzione del rapporto di lavoro per giustificato motivo.

Per finire racconto all’impareggiabile leader della Cgil un caso concreto. Nelle scorse settimane, a Bologna, in un campo estivo organizzato dall’Amministrazione comunale, un’educatrice non vaccinata ha contratto il Covid-19, contagiando la scolaresca che le era affidata. La Asl è intervenuta subito sottoponendo i bambini al tampone ed ordinando la quarantena per tutte le famiglie interessate (una quindicina), con conseguenze immaginabili per la cooperativa appaltatrice, alla cui dipendenze lavorava l’educatrice, e per la stessa Amministrazione. Venga pure la moral suasion, siano fatti tutti i tentativi di persuasione, si trovino incentivi.

Ma non è una questione di opinioni. Mettiamo il caso che un edile si rifiuti di lavorare all’aperto perché teme che gli arrivi addosso un meteorite. Come dovrebbe regolarsi secondo Landini l’imprenditore se non corrispondergli le sue spettanze e suggerirgli di cercare un’occupazione da palombaro?



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