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Taiwan come l’Afghanistan. La propaganda cinese contro gli Usa

La propaganda cinese spinge sulla crisi in Afghanistan per usare l’attuale esposizione mediatica statunitense a proprio vantaggio sul tema Taiwan (e non solo)

I media statali cinesi tentano di tracciare paralleli tra i rapporti degli Stati Uniti con Taiwan e il precipitoso abbandono di Kabul da parte di Washington. Il messaggio è chiaro: non sperate nell’aiuto americano nel momento del bisogno — ossia quando la Cina spingerà davvero sull’acceleratore per riannettere l’isola, considerata una provincia ribelle e individuata dal segretario del Partito Comunista cinese, il capo dello Stato Xi Jinping, come una necessità inalienabile per dare al suo Paese la dimensione di potenza globale. La retorica (così come Taiwan) è parte dello scontro tra modelli, su cui Pechino coglie l’occasione della vicenda afghana per dimostrare la non infallibilità del consensus di Washington e dell’Occidente.

Il Global Times, media collegato al governo cinese, ha pubblicato una serie di articoli di opinione che cercano di capitalizzare la catastrofica capitolazione del governo afghano, il Paese ceduto ai guerriglieri talebani senza nemmeno combattere, le sottolineature fatte in questo senso dal presidente Joe Biden, e la caotica evacuazione dell’aeroporto di Kabul. Tutto insieme per arrivare a quel messaggio diretto contenuto nel titolo di un articolo: “Afghanistan oggi, Taiwan domani? Il tradimento degli Stati Uniti spaventa il DPP” — il DPP è il Partito Progressista Democratico guidato dalla presidente Tsai Ing-wein, forza politica liberale di Taiwan, attualmente maggioranza che controlla sia la presidenza sia lo Yuan Legislativo.

Il Global Times, a cui l’esecutivo di Pechino affida input programmatici da diffondere in lingua inglese a un pubblico globale, scrive che, dati i precedenti americani nell’abbandono degli alleati, Taiwan non può contare sugli Stati Uniti in caso di attacco da parte della Cina: “La Saigon di ieri, l’Afghanistan di oggi e la Taiwan di domani?”, pubblica rilanciando il commento di un utente su un social network. La “cosiddetta alleanza” tra Taiwan e gli Stati Uniti non è altro che una vuota promessa che alla fine “lascerà in pace il popolo di Taiwan”, aggiunge.

In un articolo, Li Haidong, un professore dell’Istituto di Relazioni Internazionali presso la China Foreign Affairs University, aggiunge che il ritiro degli Stati Uniti dall’Afghanistan è un “avvertimento per i secessionisti di Taiwan, o meglio, una previsione”. Se Taiwan, “fuorviata dai secessionisti”, continua sulla strada del confronto diretto con la Cina, gli Stati Uniti “metteranno da parte Taiwan proprio come hanno fatto con il Vietnam e ora con l’Afghanistan”. Nei pezzi del Global Times c’è sempre un esperto con cui il giornale prova ad arricchire le proprie argomentazioni (impossibile che parli qualcuno non vicino al governo, impossibile un’opinione critica, tuttavia).

Un altro commento è di Jin Canrong, dean della Renmin University of China’s School of International Studies, il quale dice che “coloro che hanno una mente lucida dovrebbero capire che i residenti di Taiwan non possono fare affidamento sugli Stati Uniti”, e pur ammettendo che la situazione a Taiwan è diversa, continua: “C’è una cosa in comune: la vuota promessa dell’America”. L’obiettivo diretto è creare dubbi a Taiwan sul fatto che gli Stati Uniti onorino i propri impegni e utilizzino la forza militare nella difesa del Paese (cosa su cui in realtà Washington non si è ancora mai esposta).

L’obiettivo indiretto e più ampio è creare punti interrogativi non solo a Taipei, ma ovunque gli Stati Uniti sono presenti come sponda è come proiezione di influenza, dall’Europa al Sudamerica fino all’Indo Pacifico. Al di là della narrazione strategica, la Cina è nervosa. Gli Stati Uniti si sono lasciati alle spalle 20 anni di coinvolgimento in Afghanistan, e Washington può concentrarsi nel confronto tra potenze con Pechino. Dalla situazione afghana, la Cina è coinvolta direttamente. C’è la problematica di sicurezza a contatto osmotico con lo Xinjiang; c’è la componente geopolitica della Via della Seta (dove l’Afghanistan amplierebbe il corridoio pakistano); c’è il rischio migratorio sui paesi circostanti che la Cina ha agganciato nella proprio orbita; c’è soprattutto una situazione generale che richiama Pechino ai propri teorici doveri da potenza quale intende essere.


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