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Un “Cincinnato” a Tunisi? La grande sfida di Saied

Saied ha di fronte a sé la sfida di ripristinare la fiducia dei cittadini nello Stato e nelle istituzioni, arginare gli estremismi ed emarginare la corruzione. Se la Tunisia si salverà, anche i suoi vicini saranno salvi. La riflessione di Andrea Carteny, storico delle relazioni internazionali, studioso dei nazionalismi in Europa orientale e direttore del Cemas

Gli eventi a Kabul stanno portando in secondo piano la complessa situazione creatasi in Tunisia, dall’ultima settimana di luglio. La domanda è pur sempre in qualche modo semplice e ovvia: la decisione del presidente Kais Saied di avvalersi dell’articolo 80 della Costituzione per avviare un periodo in stato di emergenza in cui il presidente riassume i poteri del governo e sospende l’attività parlamentare, è un colpo di stato o è un necessario atto per riprendere il controllo di una situazione che stava portando il Paese al collasso?

LA CORRUZIONE

Uno dei problemi principali è quello della corruzione: lo stato tunisino è un sistema burocratico e farraginoso, che spicca nelle graduatorie internazionali sulla corruzione.

È da ricordare come la “rivoluzione dei gelsomini” e il collasso del governo di Ben Alì avvenne proprio per l’insostenibile corruzione, legata alle politiche familiste e nepotiste di quel regime. Il periodo democratico, però, non ha portato a una moralizzazione dei comportamenti pubblici: la stessa nuova élite islamista di Ennahdha, che fin dalle prime elezioni ha riscosso successo e maggioranza parlamentare anche e soprattutto per il richiamo alla moralizzazione della vita pubblica e privata, è ora sotto accusa per aver riprodotto al proprio interno gli stessi difetti del vecchio regime, piazzando nell’amministrazione statale i suoi affiliati.

Con le elezioni del 6 ottobre 2019 il movimento della “rinascita” (nahda, in arabo) si confermava il primo partito e il suo leader, Rashid Ghannushi, diventava presidente del Parlamento monocamerale, l’Assemblea dei rappresentanti del popolo. Il declino dei consensi, però, risulta inesorabile: se nelle prime elezioni per la costituente dopo la rivoluzione, Ennahdha raccoglieva 1 milione e mezzo di voti (pari al 37%), alle parlamentari del 2014 i voti erano quasi 950 mila (28%) e alle ultime del 2019 circa 560 mila (pari al 19-20%). L’area più integralista del suo elettorato, inoltre, si sposta ad appoggiare la coalizione della “dignità”, al-Karama, guidata all’avvocato degli attivisti salafiti Seifeddine Makhlouf, in qualche modo l’area di islamismo militante a cui è attribuita la responsabilità degli assassini due leader del fronte laico Chokri Belaid e Mohamed Brahmi nel 2013. Al-Karama è stata capace di portare in parlamento una pattuglia di 21 deputati, protagonisti anche per aggressioni fisiche nei confronti di deputate e deputati laici e di sinistra.

LA TUNISIA ISLAMISTA

Secondo alcuni osservatori, come nel primo periodo della tumultuosa democrazia tunisina Ennahdha spalleggiava la Lega per la protezione della rivoluzione, protagonista del pestaggio mortale avvenuto nella città di Tataouine ai danni dell’esponente Nidaa Tounes (il partito laico fondato da Beji Caid Essebsi, dal 2014 alla sua morte nel 2019 presidente della repubblica) e leader dei agricoltori locali Lotfi Naguedh, così ora Ennahda esternalizza gli estremisti per poter mostrare (soprattutto all’estero) un volto moderato ma mantenere la leadership della Tunisia islamica e punto di riferimento della Fratellanza musulmana e dello schieramento islamista sunnita internazionale facente capo all’asse Turchia-Qatar. È questa una parte della Tunisia fortemente islamista e coinvolta nell’esportazione di terroristi e foreign fighters (quella che in questo novero nel 2015 contava circa 7 mila unità, di cui 700 donne). Non è un caso che tra i provvedimenti più apprezzati dai giovani supporter della svolta del presidente Saied ci sia la sospensione dell’immunità per parlamentari corrotti e l’arresto di deputati e giudici “fiancheggiatori” dell’islamismo militante e violento: tra questi il giudice Bechir Akremi, accusato di aver ostacolato le inchieste legate al terrorismo e dunque simbolo negativo della corruzione nella magistratura.

UN GIURISTA COME CAPO DELLO STATO

Il doppio turno presidenziale che si svolge tra il 15 settembre e il 13 ottobre 2019 (inframmezzato dalle elezioni politiche per il parlamento del 6 ottobre) fa emergere l’indipendente Kais Saied: questi, infatti, riscuote una vittoria schiacciante (il 72% dei consensi) al secondo turno, a cui partecipa il 57% degli aventi diritto (pari a 3 milioni 900 mila elettori). È un personaggio fuori dal coro, distante dai “politici” del vecchio e del nuovo regime: professore universitario, di linguaggio forbito (usando l’arabo classico) ma noto attraverso gli interventi in televisione e tra i concittadini di Tunisi, che nel suo quartiere di Ariana lo considerano uno di loro. È un conservatore, osservante dei costumi arabo-musulmani ma soprattutto con un alto concetto dello Stato, per l’applicazione della legge e contro le storture nepotiste e tribali della politica tunisina. Costituzionalista affermato negli ambienti accademici internazionali (recentemente doctor h.c. all’Università Sapienza di Roma), con questo profilo fa una campagna presidenziale tutta incentrata sulla moralizzazione e il senso dello Stato, raccogliendo l’attenzione – nonostante l’impostazione monotònica del suo discorso – e il favore del ceto medio impoverito, dei giovani disillusi dalla politicizzazione dei princìpi religiosi, dei tanti delusi dall’evoluzione della rivoluzione dei gelsomini.

Il tradimento dei principi della rivoluzione è così anche alla base del discorso con cui il presidente rivendica il “coup” realizzato in applicazione dell’art. 80 della Costituzione, con cui l’attività governativa e parlamentare viene sospesa mentre queste prerogative vengono avocate dal presidente. Saied, per la metà della Tunisia arabo-nazionalista, bourghibiana e arabo-musulmana, rappresenta il “Cincinnato” per salvare la Tunisia dal default e dal collasso e capace di rilanciare – come ben sintetizzato nell’intervista alla professoressa Silvia Finzi – lo “stato nazione” nel suo confronto con lo “stato islamico”. Il Covid, che ha svolto la funzione di acceleratore dell’emergenza, ha colpito duramente la società tunisina nell’economia e nella salute: la Tunisia vanta una bassa velocità di vaccinazione (con solo un 7-8% di cittadini completamente vaccinati) e un alto tasso di morti per Covid (quasi 22 mila), e gli imbarchi verso l’Italia sono ormai a maggioranza di cittadini tunisini.

LA SFIDA, LA SPERANZA

Saied ha dunque di fronte a sé una grande sfida: quella di ripristinare la fiducia dei cittadini nello Stato e nelle istituzioni, arginare gli estremismi ed emarginare la corruzione. Se la Tunisia si salverà, anche i suoi vicini – in primis l’Italia – saranno salvi.

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