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Vi spiego l’abbraccio (letale) di Letta a Conte. Parla Parisi

Intervista ad Arturo Parisi, ideologo dell’Ulivo e co-fondatore del Pd. L’invaghimento del Pd di Letta per Conte e i Cinque Stelle è ormai ufficiale, ma sarà letale. È tanto se l’alleanza regge fino a Siena, tra i due ex premier bisognerà scegliere. Con il Mattarellum avremmo evitato questo spettacolo

Se non è una resa incondizionata, poco ci manca. “Ed è tutto alla luce del sole”. È sconsolato Arturo Parisi, ideologo dell’Ulivo, già ministro della Difesa nel governo Prodi, padre nobile e co-fondatore del Pd. Quel batti-mani della sua creatura, oggi capitanata da Enrico Letta, per il capo dei 5 Stelle e “riferimento dei progressisti” (copyright Zingaretti) Giuseppe Conte è una visione poco edificante. Ma non c’è spazio per due galli nel pollaio. Tra i due ex premier “prima o poi bisognerà scegliere”.

Professore, fra tensioni dei Cinque Stelle sulla Giustizia e rivendicazioni della Lega sul Green Pass al Pd è rimasta la veste del partito della responsabilità. Gli sta stretta?

Stretta? Per stare alla metafora direi piuttosto che è un vestito che gli sta, più che largo, larghissimo. Sempre più largo. Come capita ai vecchi con i vestiti di stagioni passate. Non più per quantità il primo partito, né per qualità il partito guida, è da tempo che il Pd non riesce ad interpretare in modo credibile quella funzione di “partito generale” che ha ereditato dalla teoria comunista e dalla prassi democristiana. E tuttavia quello è l’unico abito che gli rimane da indossare in pubblico almeno nelle grandi occasioni, e, d’altra parte, non vedo in giro concorrenti che riescano a indossarlo in modo meno incredibile.

Come si sposa questa veste con un’alleanza politica con un partito, il Movimento 5 Stelle, che non ha davvero interesse ad arrivare a fine legislatura?

Almeno per un momento lascerei da parte, più che i disegni, le possibili pulsioni immediate dei 5 Stelle. È pensando al medio periodo che non riesco a capire come le due formazioni, per i 5 Stelle partito è ancora un parolone, possano rendere compatibili i propri progetti di vita. Di certo le formule immaginate nell’immediato passato sono alle nostre spalle.

Ad esempio quali?

Sia la frettolosa alleanza organica improvvisata su due piedi quando due anni fa il Pd subentrò d’un tratto nel letto dei 5 Stelle ancora caldo di Salvini, arrivando perfino ad alludere ad una formazione unitaria fondata su legame a tempo indeterminato. Ancor più superata della alleanza organica è la reinvenzione da parte di Bettini di una specie di Ulivo alla D’Alema, con Conte nella parte di Prodi, osannato nell’alto dei cieli come “riferimento comune di tutti i progressisti”, e sulla terra a suo sostegno un fronte popolare di partiti egemonizzato da un Pd a trazione diessina. In un contesto nel quale era venuta meno e addirittura dichiaratamente esclusa la condizione prima: la necessità di coalizzarsi per poter competere nel quadro di una legge elettorale maggioritaria.

La stima del segretario Letta verso Conte è ormai cosa pubblica. Prima gli auguri per il plebiscito online, ora l’invito alla Festa dell’Unità. L’ex premier sembra davvero un “riferimento per i progressisti”, come aveva appunto sostenuto Zingaretti…

Questi sono solo esempi degli ultimi giorni. Non novità o eccezioni, ma espressione di una linea di condotta che Letta ha finora sviluppato con dichiarata coerenza. La verità è che nel Pd al cambiamento del segretario, almeno da questo punto di vista, non ha corrisposto un cambiamento di linea. Se tuttavia Letta pensa che si possa ritornare al recente passato ho idea che dovrà presto ricredersi.

Perché?

È già molto che l’alleanza regga fino alle elezioni del collegio di Siena. Inevitabilmente la cooperazione indissolubile tra Pd e M5S molto presto diventerà competizione, sia pure aperta a una possibile alleanza, ma tanto più competitiva nei contenuti quanto più cooperativa nelle forme.

In vista delle politiche, che ruolo si immagina per Conte in un’ipotetica coalizione Pd-5 Stelle?

Posso solo dire che quanto più si insisterà sull’idea di coalizione, tanto più si porrà il problema della guida e, si alimenterà quindi la competizione per la leadership tra Conte e Letta. Ha presente la dinamica dei rapporti tra Meloni e Salvini? Ecco! Mi fermo qui. Chi ci legge può continuare da solo. Forse è più prudente prendere atto di un’altra cosa.

Sarebbe?

Che l’idea di coalizione così come l’abbiamo conosciuta prima del varo del Porcellum, nel breve periodo del maggioritario di collegio, è ormai alle nostre spalle e quindi riconoscere che siamo tornati all’antico, anzi all’antichissimo. Quando ogni partito prima delle elezioni prometteva di tutto nel presupposto di poter raggiungere da solo la maggioranza assoluta. E il giorno dopo il voto, una volta scoperta che la maggioranza assoluta non l’aveva raggiunta, ricominciare tutto da capo. E qui mi viene da piangere.

Rimorsi?

Ripenso a dieci anni fa quando, sapendo che era l’ultima possibilità, impazzito all’inizio di agosto promossi con altri la richiesta di referendum per il ritorno al Mattarellum. In 45 giorni raccogliemmo un milione e mezzo di firme. Finite in fumo. Mi fermo qua.

Cosa dire comunque delle riforme: reddito, lavoro, fisco. Quanto collimano l’agenda di Pd e 5 Stelle?

Se è vero che in politica il “chi” viene prima del “cosa”, anche gli attori vengono prima delle agende. Diciamo pure: purtroppo. Tra partiti in competizione tra loro le agende non possono collimare per definizione. E ripetiamo: purtroppo. Se dovessero collimare nei fatti sarà compito delle parole evitare che i due marchi si sovrappongano oltre la misura. Sarà il governo a cercare nei fatti lo spazio da lasciare nelle parole alle contese o rivendicazioni delle diverse componenti. È esattamente la dinamica alla quale stiamo assistendo in questi giorni. E ripeto ancora una volta: purtroppo.

Con il semestre bianco si avvicina la partita per il Quirinale. L’idea di mandare Draghi al Colle non dispiace a una parte del Movimento 5 Stelle perché, come riconosce il centrodestra, anticiperebbe le elezioni. Lei è d’accordo?

Una domanda da nulla! Con questo caldo? E di cosa parleremmo allora nei prossimi sei mesi?

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