Difficile prevedere se i cinque compiranno veramente questo passo. Ma il dibattito è aperto e l’Italia dovrebbe attrezzarsi all’eventualità di poter diventare un nuovo partner. Il commento di Marco Mayer
L’Italia è abituata a considerare la Nato come il presidio essenziale per la propria sicurezza. Senza niente togliere al ruolo fondamentale dell’Alleanza per il nostro Paese, è sbagliato ignorare le sue fragilità. In particolare, è necessario ricordare che al suo interno si collocano due nazioni caratterizzati da una agenda politica quantomeno assai discutibile: l’Ungheria guidata da Viktor Orbán ha il governo più filocinese d’Europa e la Turchia di Recep Tayyip Erdogan si muove come free rider nelle crisi più gravi e complesse, compresa quella afgana. Ankara, inoltre, utilizza milioni di rifugiati e migranti che ospita nel suo territorio (con i finanziamenti dell’Unione europea) come un’arma di pressione politica, un po’ come faceva Muammar Gheddafi in Libia nei confronti dell’Italia.
La domanda da porsi è se per l’Italia sarebbe possibile (e conveniente) fare qualcosa di più per rafforzare la sicurezza nazionale e tutelare le libertà proprie della nostra democrazia repubblicana.
Nei prossimi mesi il Congresso degli Stati Uniti affronterà per la prima volta dopo 60 anni il tema dell’espansione dei Five Eyes, l’alleanza operativa per la condivisione delle attività di intelligence, nata 80 anni fa con il Regno Unito per poi allargarsi al Canada nel 1948 e ad Australia e Nuova Zelanda nel 1956.
Dal 2016 essa dispone anche di un ispettorato comune di oversight denominato Five Eyes Intelligence Oversight and Review Council.
Due settimane fa il Comitato della Camera dei rappresentati dedicato alla difesa e all’intelligence ha chiesto ai vertici dei servizi segreti americani di presentare entro il maggio 2022 un rapporto sulla fattibilità e sulla validità di allargare l’alleanza Five Eyes ad altri quattro membri. I Paesi presi in considerazione in questa fase istruttoria sono Giappone, Corea, India e Germania.
È difficile prevedere se gli Stati Uniti e gli stessi Paesi citati decideranno di compiere questo passo. In ogni caso, a mio avviso, sarebbe bene evitare che l’Italia stia fuori da questa cerchia di candidati. Dobbiamo adoperarci e attrezzarci nell’eventualità di poter diventare il decimo partner.
Un primo motivo è che la presenza di due Paesi europei rafforzerebbe l’asse euroatlantico; oggi l’attenzione di Washington appare troppo spostata sul versante Asia-Pacifico. Una seconda ragione, ancora più importante, è che la difesa dei valori della democrazia e delle libertà civili richiede oggi una più estesa ed efficace cintura di sicurezza in un mondo in cui fondamentalismi religiosi e tendenze totalitarie potrebbero prendere il sopravvento.
Spero che i partiti politici e il parlamento (a partire dal Copasir) affrontino con spirito unitario il tema della possibile espansione dei Five Eyes suggerendo al governo (e agli organismi di intelligence e alla Farnesina) di compiere un’ampia ricognizione qualche primo passo esplorativo.
Oggi è il ventennale dell’11 settembre e sono passate soltanto tre settimane dall’ingresso dei talebani a Kabul. Qualcosa di profondo deve cambiare e l’Italia ha il dovere di contribuire a una svolta profonda che sia in grado di arrestare il declino delle democrazie.
Questa non è materia di campagna elettorale, ma di unità nazionale. È l’ora che le scelte strategiche in materia di sicurezza dell’Italia e delle nazioni democratiche alleate siano al centro del dibattito pubblico e che coinvolgano il maggior numero possibile di cittadini.