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Aukus, il maldestro soccorso degli Usa dopo Kabul. L’analisi di Valori

L’alleanza Aukus vede Usa, Regno Unito e Australia serrare i ranghi contro la Cina. Dai pericoli per il trattato di non proliferazione nucleare (per la gioia dell’Iran) al concetto di Global Britain, passando per gli alleati americani, Valori mappa le complessità che scaturiscono dall’accordo

Nel marzo 2021 la Repubblica Popolare Cinese è risultata la più grande flotta navale militare al mondo, superando la Marina da guerra degli Stati Uniti d’America. Un vantaggio di circa 60 navi, che aumenterà nel 2024, quando Pechino conterà su una flotta di almeno 400 unità. Un traguardo predicato già nel 2018 da Xi Jinping.

Dopo il ritiro fallimentare dall’Afghanistan, gli Usa hanno annunciato l’istituzione di una nuova alleanza di cooperazione per la sicurezza – nota come Aukus – con il Regno Unito e l’Australia, il cui primo compito è assistere quest’ultima nella costruzione di sottomarini a propulsione nucleare.

Tra i suoi alleati, la Casa Bianca ha condiviso la tecnologia di propulsione nucleare solo con il Regno Unito; l’Australia sarà il secondo alleato a beneficiarne. Oltre ai sottomarini a propulsione nucleare, i tre Paesi rafforzeranno anche la cooperazione nei settori della tecnologia di rete, dell’intelligenza artificiale e della tecnologia quantistica

Il primo ministro britannico, Boris Johnson, ha proposto nella Integrated Review del marzo 2021 – documento che illustra la strategia geopolitica del governo e delinea il ruolo del Regno Unito nel mondo nei prossimi 10 anni – di riposizionare la strategia globale di Londra nel post Brexit. Johnson ha  sottolineando che il Paese sarà profondamente coinvolto nella regione indo-pacifica in futuro.

Secondo una dichiarazione rilasciata dalla Casa Bianca il 15 settembre scorso, Aukus mira a rafforzare la cooperazione diplomatica, di sicurezza e di difesa dei tre Paesi nella predetta regione.

Nell’ambito della nuova intesa regionale, i tre Paesi rafforzeranno ulteriormente la condivisione di informazioni e tecnologia, integreranno scienza e catene di approvvigionamento e basi industriali legate alla sicurezza e alla difesa.

La prima base-chiave dell’intesa è quella costituita dagli Usa e il Regno Unito, col proposito di assistere l’Australia nella costruzione di sottomarini a propulsione nucleare. I tre Paesi trascorreranno 18 mesi a discutere su come attuare il piano.

Rispetto ai sottomarini convenzionali, quelli a propulsione nucleare sono più veloci, hanno una maggiore resistenza, maggiori capacità di attacco e sono più difficili da rilevare. Attualmente, solo sei Paesi al mondo hanno questo tipo d’arma: Usa, Cina, Russia, Francia, India e Regno Unito.

Secondo il piano Aukus il sottomarino sarà costruito ad Adelaide, però il Commonwealth dell’Australia non ha un’industria nucleare né i materiali fissili necessari. Funzionari statunitensi hanno rivelato che i materiali nucleari possono essere spediti lì da altri Paesi in quanto gli Stati Uniti e l’Australia hanno già firmato un accordo nel 2010, che prevede che l’Australia non ritratti o aumenti la quantità di materiali nucleari inviati al Paese da Washington.

Va pure rammentato che l’Australia è anche firmataria del Trattato di non proliferazione nucleare. Però il primo ministro australiano, Scott Morrison, ha già messo le mani avanti, dichiarando che la costruzione di sottomarini a propulsione nucleare non significa necessariamente produzione di armi nucleari. Ha sottolineato che l’Australia non cerca di acquisire armi nucleari e nemmeno di espandersi nel nucleare civile.

Tuttavia, alcuni esperti ritengono che la costruzione australiana di sottomarini a propulsione nucleare sia iniziata male. In un’intervista al Washington Post James Acton, direttore del programma di politica nucleare presso la Carnegie Foundation for International Peace, ha sottolineato che la mossa ha gravemente minato il sistema di non proliferazione nucleare e potrebbe anche innescare una corsa agli armamenti.

Acton ha acutamente predetto che dopo il precedente dell’Australia, anche l’Iran possa annunciare la costruzione di sottomarini a propulsione nucleare: del resto Teheran è soggetto di diritto internazionale e cofirmatario del Trattato di non proliferazione nucleare al pari di Canberra.

In passato tale eventuale richiesta dell’Iran poteva essere osteggiata dalla comunità internazionale. Con Aukus, invece, gli si darà credito, a meno che il predetto diritto internazionale non stabilisca anche formalmente l’esistenza di Stati di Serie A e Stati di Serie B.

A livello politico Hugh White, un ex funzionario della difesa australiano, ha dichiarato in un’intervista al New York Times che la mossa dell’Australia non è solo quella di costruire sottomarini a propulsione nucleare, ma un aggiustamento strategico per approfondire notevolmente la cooperazione con gli Stati Uniti in funzione anticinese.

Quando la nuova alleanza indo-pacifica per la sicurezza è stata annunciata il 15 settembre, il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, il primo ministro britannico Johnson e il premier australiano Morrison hanno avuto l’accortezza di non menzionare la Cina.

Biden ha affermato che l’istituzione della nuova alleanza serve a garantire pace e stabilità a lungo termine nella regione indo-pacifica; funzionari statunitensi hanno sottolineato che la cooperazione trilaterale non è diretta contro nessun altro Paese, ma è pensata per salvaguardare gli interessi strategici dei tre.

Ma che si tratti di media australiani, britannici (Guardian) o statunitensi (CNN), sono tutti d’accordo sul fatto che l’alleanza stia prendendo di mira direttamente la Cina.

Il portavoce del ministero degli Esteri cinese Zhao Lijian, invece, ha affermato in una conferenza stampa il 16 settembre che il rispetto e la fiducia reciproci sono i prerequisiti per il dialogo e la cooperazione tra i Paesi. Egli ha sottolineato che l’attuale difficoltà nelle relazioni Cina-Australia deriva unicamente da Canberra.

Il compito più urgente per l’Australia, secondo Zhao, è affrontare il nodo della battuta d’arresto nei rapporti tra i due Paesi, valutare seriamente se considera la Cina un partner o una minaccia, quindi difendere sinceramente il rispetto reciproco e trattarsi alla pari. Che siano i princìpi e lo spirito di una partnership strategica globale – e non settoriale mirata contro qualcuno – a gestire le relazioni tra i due Paesi.

In un’intervista al Guardian, un alto funzionario della Casa Bianca ha rivelato che quando si è stabilita la nuova intesa il Regno Unito ha svolto il ruolo di mediatore su tutte le questioni chiave ed è stato «un leader strategico molto forte».

Non dimentichiamo che sulla questione del ritiro delle truppe dall’Afghanistan, Gran Bretagna e Stati Uniti hanno avuto serie divergenze. Il segretario di Stato per la Difesa britannico, Ben Wallace, ha criticato gli Usa ripetutamente. Per cui, in teoria, Washington può anche aggirare Londra e raggiungere direttamente un accordo con l’Australia sui sottomarini a propulsione nucleare.

Il succitato funzionario della Casa Bianca ritiene che il Regno Unito sia così attivo nell’alleanza militare delle tre nazioni perché ha dovuto “pagare un acconto” per la politica della “Global Britain” descritta nell’Integrated Review.

In sé il Global Britain è un concetto grandioso e vago. Secondo il sito web ufficiale del governo britannico, il perno è reinvestire nelle relazioni tra Londra e gli altri Paesi, onde promuovere un ordine internazionale basato su regole ben determinate, e dimostrare che il Regno Unito è un Paese ben orientato e che gode di piena fiducia nello scenario internazionale.

Alcuni analisti ritengono che la Global Britain di Johnson stia cercando di emulare la diplomazia dei tre cerchi di Churchill, ovvero le tre aree di influenza della politica estera britannica: l’Impero e il Commonwealth, il mondo anglosassone – in particolare la special relationship con gli Stati Uniti, i.e. cinquantunesima stella – e l’Europa.

Il Regno Unito usa la sua stretta relazione con il secondo cerchio per fungere da collegamento tra gli altri due per salvaguardare gli interessi e lo status della Gran Bretagna come (ex) grande potenza.

Intanto vediamo cosa ne pensa la Francia. Il 17 settembre il ministero degli Esteri francese ha diffuso un comunicato in cui annunciava l’immediato richiamo dell’ambasciatore negli Stati Uniti, Philippe Étienne, e quello in Australia, Jean-Pierre Thebault.

Il comunicato afferma che l’Australia ha abbandonato l’accordo di costruzione dei sommergibili raggiunto con la Francia e ha concluso una “nuova partnership” con gli Stati Uniti d’America sullo sviluppo di sottomarini nucleari, un “comportamento inaccettabile” tra alleati.

Prima di tornare in Francia, Thebault ha dichiarato che la cancellazione del contratto da parte dell’Australia  è stato un “grande errore” e che Canberra abbia gestito in maniera “pessima” la partnership. Ha detto che non si tratta solo di una questione contrattuale, ma di una collaborazione basata sulla fiducia e sulla comprensione reciproca.

Thebault ha ribadito che l’Australia non ha mai dato alla Francia un segnale chiaro riguardo la sospensione del contratto. Ha detto che la Francia è stata tenuta completamente all’oscuro, che in questo periodo molti funzionari australiani non solo hanno continuato a discutere del progetto con la Francia, ma hanno anche espresso la loro volontà di renderlo un successo.

Nel frattempo nel Paese dei tipi da spiaggia nessun commento.



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