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Siamo tutti americani. Casini e i leader politici sull’Afghanistan che sarà

Una tavola rotonda sui vent’anni dall’11 settembre organizzata da Pier Ferdinando Casini e l’Unione interparlamentare diventa occasione per tutti i leader di partito, da Salvini a Conte, da Renzi a Meloni, per guardare al futuro dell’Afghanistan, tra autonomia Ue e riscatto degli Usa

Dopo la tempesta, ecco la quiete. I partiti italiani si sbracciano e litigano su vaccini, green pass e ripresa. Il caos in Afghanistan, invece, mette tutti d’accordo, o quasi. Venerdì mattina, sotto gli affreschi della Sala Zuccari al Senato, ha regnato la calma.

Merito del convegno sui vent’anni dall’11 settembre organizzato dal senatore Pier Ferdinando Casini insieme all’Unione Parlamentare, aperto da un intervento della presidente di Palazzo Madama Elisabetta Casellati. Di fronte al memoriale dell’attentato alle Torri Gemelle, una volta tanto, il giudizio della politica italiana è unanime. E alla conferenza la politica si presenta in grande schiera. Dal leader della Lega Matteo Salvini alla presidente di Fdi Giorgia Meloni, dal capo del Movimento Cinque Stelle Giuseppe Conte al segretario Pd Enrico Letta e poi ancora Matteo Renzi (Iv), Antonio Tajani (Fi), Roberto Speranza (Articolo 1).

Dopo un intervento della Casellati, è Casini a rompere il ghiaccio: “Siamo tutti americani”. La fine drammatica della guerra ventennale in Afghanistan e il ritorno della violenza talebana al potere non cambiano il giudizio storico su quella mattinata del 2001. Non è semplice solidarietà e tantomeno pietismo, puntualizza l’ex presidente della Camera, quanto piuttosto “la rivendicazione della superiorità morale dell’Occidente ferito da un terrorismo inedito che non esitava a strumentalizzare l’appartenenza religiosa per fini di guerra e morte”.

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Inutile sminuire il caos del ritiro da Kabul. Le istantanee afgane, i civili appesi al carrello degli aerei, le donne e i giornalisti frustati, sono “strazianti”, dice Casini. Piuttosto che lanciare strali contro Washington, l’Europa dovrebbe impegnarsi a “uscire da uno stadio di infantilismo politico che delega all’America e agli americani l’onere di essere attore globale”.

Contro i profeti del disfattismo si schiera anche Conte, che parte con una premessa: “Mi sembra semplicistico liquidare come inutile l’azione compiuta dall’Occidente”. Vent’anni di scuole aperte, diritti, libertà, insomma di democrazia, anche se fragile, si chiede l’ex premier, sono davvero da archiviare come un fallimento? “Probabilmente ha ragione Kissinger quando ha detto che gli obiettivi politici erano astratti. Forse ci siamo illusi che l’Afghanistan sarebbe divenuto uno Stato costituzionale”, sospira. Ora però è il momento di pensare al “dopo”. E l’Italia ha un’occasione d’oro per dire la sua: la presidenza del G20, il gruppo delle potenze mondiali pronto a riunirsi in una sessione straordinaria sull’Afghanistan. Qui Conte si ritrova sulla stessa frequenza del suo successore a Palazzo Chigi, Mario Draghi: “Solo il multilateralismo può offrire strumenti di governo di scenari così complessi”. Tradotto: al tavolo bisogna sedersi con tutti, anche con chi alleato non è, come Russia, Cina, Turchia, Pakistan.

È il crinale su cui si muove Palazzo Chigi, e trova l’assenso delle forze di maggioranza. “La riflessione maggiore che scaturisce dai fatti dell’Afghanistan è quella sull’importanza del multilateralismo – chiosa infatti Letta, che nel 2014, allora premier, si è recato in visita a Kabul dall’ex presidente Hamid Karzai – Se c’è una cosa che abbiamo imparato in questi vent’anni – ha sostenuto ancora Letta – è che l’Occidente non è più globale: può e deve avere una aspirazione ad avere un ruolo globale ma deve convivere von gli altri grandi attori geopolitici mondiali”.

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Anche l’Europa piange a Kabul, gli ribatte Renzi, è “una delle vittime collaterali delle ultime vicende afgane”. Più che in una condizione di morte celebrale, copyright Emmanuel Macron, la Nato è entrata in “coma”, dice il senatore ed ex premier, sicuro che sia questo il momento per tornare a parlare di “un esercito europeo”.

Più battaglieri Meloni e Salvini. I due nocchieri del centrodestra sono convinti: le parole non bastano più. È il leader della Lega il primo a suonare la carica: “Se la comunità internazionale avesse voglia e tempo di fare qualcosa, sono queste le ore in cui intervenire, perché il G20 vedrà il deserto nel Panshir”. Bisogna “salvare le sacche di resistenza” contro i talebani, dice, “se aspettiamo un mese sarà tabula rasa. Laconica anche la leader di Fdi: c’è “il rischio concreto” che l’Afghanistan torni “un santuario del terrorismo”. “Ora – ha chiuso – si impongono scelte coraggiose, equilibrare l’alleanza atlantica facendo assumere all’Europa oneri e onori a chi deve avere una propria politica estera, da pari a pari con gli Usa”.

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