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Cosa (non) capisce Soros della Cina

Ha fatto rumore l’affondo di George Soros contro le interferenze politiche sul mercato del governo cinese. Ma non ha un’alternativa valida: la fiducia cieca nella stella polare del mercato è stata fatta a pezzi molto prima della pandemia. Il commento di Marco Mayer

In un recente editoriale sul Financial Times George Soros ha espresso una grande preoccupazione per i fondi stranieri che hanno investito in aziende cinesi.

Per Soros la leadership di Pechino – e in primis il Presidente Xi Jinping – interferiscono negativamente nella vita e nella governance delle imprese perché non conoscono “come funziona il mercato”. Sul piano pratico le osservazioni di Soros hanno un fondamento specifico, ma la visione che ispira il suo articolo – almeno a mio avviso – è datata e non condivisibile, e per inciso non tiene in debito conto il pensiero politico del suo maestro Karl Popper.

Una cosa è mettere in guardia gli investitori istituzionali (e non) sul “rischio politico” derivante da interferenze del Pcc sulle aziende cinesi quotate nei mercati finanziari internazionali. Proprio ieri su Formiche.net Gianluca Zapponini ne ha ampiamente illustrato gli effetti boomerang sull’econima del Dragone.

Un’altra cosa è riproporre – come fa Soros – una visione per cui la logica di funzionamento dei mercati internazionali è la stella polare a cui subordinare le politiche pubbliche dei governi. Non c’è bisogno di citare né la crisi del 2008 né le ricerche empiriche di tanti economisti sulla correlazione virtuosa tra crescita economica e politiche pubbliche.

Basti qui ricordare che la pandemia Covid 19 ha ampiamente dimostrato che la logica di mercato è importante,ma è una delle variabili da considerare per I governanti.

La validità di un vaccino non si misura dal valore della quotazione di borsa dell’ azienda produttrice. In Africa l’assenza di sistemi sanitari nazionali ha un un costo ed umano economico altissimo perché impedisce la distribuzione dei vaccini e la cura dei pazienti.

Il prezzo di mercato dei farmaci impedisce la prevenzione e la cura delle malattia infettive (e non) nelle nazioni povere con ripercussioni negative sull’economia globale.

La verità è che il primato della finanza internazionale sulla politica si è dimostrato insostenibile come provano anche altre grandi sfide globali quali il cambiamento climatico. Nel pensiero di Karl Popper il rapporto tra libertà e politica si presenta molto più complesso e articolato rispetto alle parole di Soros.

Popper afferma che “abbiamo bisogno dello Stato per proteggerci dagli abusi della libertà e della libertà per evitare gli abusi dello Stato”. Nelle società aperte il ruolo di protezione dello Stato è fondamentale e non si limita certo alla vigilanza della SEC sull’ andamento delle borse.

Esso comprende l’inseme dei molteplici ambiti in cui si esplica la relazione cruciale tra sicurezza e libertà (sanita compresa). Sotto questo profilo (e a 30 anni dalla caduta del muro di Berlino) la stessa espressione “diritti umani” meriterebbe una profonda rivisitazione.

Durante la Guerra Fredda diritti individuali e diritti collettivi venivano contrapposti strumentalmente nella competizione ideologica tra grandi potenze. Libertà civili e diritti sociali non possono essere più essere affrontati come sfere separate, così come una democrazia efficiente non si realizza senza una base minima di welfare.

Ritornando al tema “mercato” non si può peraltro dimenticare la celebre metafora della “fiera del borgo di campagna” in cui Luigi Einaudi nelle sue “Lezioni di Politica Sociale” mette in luce le condizioni istituzionali senza le quali il mercato non può esistere. Una fiera non funziona senza sindaco, guardie municipali, notaio, carabinieri, tribunale, e per Einaudi.. neppure senza parroco…

Né Popper né Einaudi hanno vissuto la globalizzazione economica; e neppure Mao, come Soros ricorda nel suo articolo. Ma questa non è una ragione sufficiente per sostenere la primacy dei mercati finanziari internazionali.

La questione della Cina è un altra, squisitamente politica. Con la nomina del Presidente XI dal 2012 ad oggi il politburo del Partito Comunista Cinese ha compiuto una lenta, ma profonda e grave svolta in direzione totalitaria.

L’esodo da Hong Kong dopo la repressione del 2019, la persecuzione delle donne uigure e delle popolazioni di lingua turca, lo studio del pensiero del Presidente XI come materia obbligatoria nelle scuole, la sorveglianza tecnologica di massa sono la punta dell’ iceberg.

Per questo motivo la “coesistenza pacifica” nel nuovo assetto bipolare che si prospetta nelle relazioni internazionali non può né deve significare rinuncia alla competizione sui valori (democrazia versus totalitarismo).

In un’epoca in cui incredibilmente la storia e la geografia sono sempre più emarginate nella scuola superiore e nell’ università e’ un nostro dovere far sì che quattro grandi rivoluzioni (inglese, francese, americana e indiana) non siano passate invano.

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