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Di Maio in Asia Centrale e Qatar. L’Italia al centro delle dinamiche post-Talebani

L’Italia sta elevando la crisi afghana (che ha potenzialità di carattere securitario e pone sfide in politica estera) a occasione di dialogo largo da muovere in sede G20. All’interno di questo schema, la visita in Asia Centrale e Qatar del ministro Di Maio è utile per tenere contatto con i paesi più coinvolti da quanto accade a Kabul

La visita del ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, in Uzbekistan, Tagikistan, Qatar e Pakistan dimostra l’interesse dell’Italia nel trattare la questione afghana a livello globale. Un interesse che si sposa con la volontà di organizzare una riunione apposita del G20, istituzione internazionale che Roma presiede quest’anno, su cui il presidente del Consiglio, Mario Draghi, ha cercato anche l’appoggio del presidente francese nell’incontro di Marsiglia.

Il viaggio del titolare della Farnesina ha una doppia direttrice. A Doha, Di Maio avrà conversazioni con il canale preferenziale di comunicazione dei Talebani: il gruppo afghano ha infatti scelto la capitale del Qatar come centro della propria diplomazia da quando nel 2013 vi ha aperto un vero e proprio ufficio di rappresentanza internazionale. Nei tre paesi dell’Asia Centrale invece trova da un lato – verso l’Oceano Indiano – un attore molto influente nelle dinamiche talebane come Islamabad (c’è una letteratura vasta sulle relazioni a varie sfumature tra Talebani e servizi segreti e interessi pakistani); mentre a Tashkent e Dushanbe vedrà due governi che cercano rassicurazioni perché temono che quanto successo a Kabul possa propagarsi in termini di instabilità e insicurezza nei loro territori – e nella regione dell’entroterra centro-asiatico.

Uzbekistan e Tagikistan (così come il Pakistan) saranno i Paesi colpiti dai potenziali flussi migratori in uscita – o meglio dire in fuga – dall’Afghanistan, e contemporaneamente potrebbero risentire degli effetti sui gruppi armati e sui proseliti a diverso gradi di indottrinamento della vittoria jihadista rappresentata dalla formazione dell’Emirato talebano. Se, virgolettando il mood che esce da qualsiasi angolo del governo italiano, “è prematuro” il riconoscimento dei Talebani, è certamente il momento per stringere le relazioni con quella regione nevralgica, diventatolo ancora di più in questa fase. Anche perché il Pakistan e il Qatar stanno ospitando le ambasciate occidentali operative in Afghanistan, e non è detto che questa condizione non duri anche nel breve periodo – solo Cina e Russia hanno tenuto aperte le sedi a Kabul, e non senza preoccupazioni.

La presenza in Asia Centrale è una necessità di carattere tattico non solo per l’Italia, ma anche per l’Unione europea. Ai Paesi confinanti sarà chiesto di essere attivi nell’accoglienza dei profughi (con l’aiuto fornito da corridoio umanitari), e soprattutto a loro sarà richiesto di farsi carico della gestione del tema sicurezza davanti al rischio enorme che l’Afghanistan diventi un’occasione, anche suolo sul piano dell’ispirazione, per la diffusione di attività terroristiche nel mondo. L’area è in una fase di faticoso sviluppo anche collegato ai vari investimenti (i gasdotti turkmeni, la Bri cinese, gli interessi turchi, la rivendicazione di Mosca sull’influenza in una fascia in cui la russofonia è un punto di contatto); questo sviluppo catalizza le interconnessioni.

Gli Stati Uniti hanno già annunciato che aiuteranno il Tagikistan a costruire nuove istallazioni per il controllo dei confini: necessità per la gestione degli arrivi e le partenze di potenziali elementi jihadisti. Ed altrettanto possibile che qualcosa di simile andrà a riguardare altri Paesi dell’Asia Centrale, anche attraverso investimenti di carattere economico orientati Washington in ottica alla sicurezza, ma anche geopolitica. Lo stesso sta facendo la Russia, che nei giorni in cui i Talebani stavano avanzando a morsa su Kabul aveva organizzato esercitazioni militari proprio con Tagikistan e Uzbekistan. Lo scopo anche in quel caso era dimostrarsi pronti a sostenere quei Paesi (partner) con la doppia necessità di tutelare l’interesse nazionale ma nel ruolo di un attore di riferimento nella regione.

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