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Difesa comune o esercito europeo? Il dibattito che attraversa il Vecchio continente

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Battlegroup, coalizioni di volenterosi e decisioni a maggioranza qualificata. La crisi in Afghanistan ha riacceso il dibattito sulla Difesa europea, complice l’evidente necessità per l’Ue di assumersi maggiori responsabilità. Prima degli strumenti, però, occorre affrontare la questione politica e strategica: quali sono gli obiettivi comuni? Il semestre di presidenza francese darà la spinta auspicata al tema. Ma verso dove?

La crisi afgana ha riacceso i riflettori sul processo di integrazione della Difesa europea. Da più parti si invoca un’accelerazione, affinché l’Ue possa avere uno strumento più efficace a servizio della sua “autonomia strategica”.

Prima però c’è da chiarire il concetto stesso di autonomia strategica; poi, definito il livello d’ambizione, bisognerà capire quale è “la strategia”, intesa come individuazione di obiettivi e mezzi, presupponendo su entrambi comunanza di vedute; infine, occorrerà mettere in campo i mezzi scelti per perseguire gli obiettivi condivisi, ricorrendo a meccanismi decisionali adatti al loro impiego. Evidentemente non è cosa facile, soprattutto per un’Unione di 27 Paesi e per una materia (la Difesa) che spesso richiede decisione rapide e che al momento resta nel perimetro inter-governativo, con decisioni assunte all’unanimità.

Tra i temi rispolverati negli ultimi giorni c’è la creazione di battlegroup europei. L’Alto rappresentante Josep Borrell si è addirittura lanciato in una proposta numerica, parlando di una forza iniziale di cinquemila militari. L’impressione, tuttavia, è che ancora una volta ci si concentri sullo strumento dimenticandosi la questione della “strategia”, che si parta cioè dal mezzo e non dall’obiettivo, presupponendo su tutto comunanza di vedute.

L’errore è già stato commesso. Lo spiega all’AdnKronos il generale Vincenzo Camporini, ricordando il dibattito innescato sulla base dell’esperienza in Kosovo alla fine degli anni Novanta, confluito in una proposta di una forza da 60mila unità, poi “rimasta sulla carta”. A metà del decennio successivo sono così stati istituiti dei battlegroup di dimensioni inferiori, i quali tuttavia non sono mai stati utilizzati. È mancata la volontà politica, ma anche la disponibilità a definire una strategia comune. Lo stesso vale per le formule della “coalition of willings”, utili per impieghi circoscritti, ma che poco aggiungono a simili coalizioni esterne al perimetro dell’Ue.

Ora tutti gli occhi sono dunque puntati sullo Strategic compass, l’attesa “bussola strategica” in fase di definizione che dovrà dare spinta alla difesa comune definendo politiche e obiettivi precisi in quattro ambiti: gestione delle crisi, sviluppo delle capacità, resilienza e partnership. Come spiegato dal generale Claudio Graziano, presidente del Comitato militare dell’Ue, non sarà un documento definitivo. Per produrre risultati concreti avrà un orizzonte temporale limitato (cinque/dieci anni) e sarà soggetto a revisioni periodiche.

Il tema è stato toccato ieri a Lubiana, dove i ministri della Difesa dell’Ue si sono riuniti per una riunione informale. Tra aprile e maggio, due riunioni del tutto simili sono andate in scena a Lisbona. L’accelerazione è prevista nel prossimo semestre di presidenza francese, considerando l’elevato interesse di Parigi a procedere in tal senso, come confermato anche dai messaggi di Emmanuel Macron a Marsiglia con Mario Draghi. La sfida sarà comunque la medesima: trovare comunanza di vedute e magari schivare l’intenzione transalpina di guidare in solitaria la definizione della strategia. Il caso libico ha palesato negli ultimi anni quanto divergenti possano essere gli interessi in campo tra i Paesi europei.

D’altra parte, il processo di creazione del Fondo europeo di Difesa (Edf, con 7,9 miliardi di euro per sette anni) ha mostrato quanto produttivo possa essere l’allineamento dei maggiori Paesi dell’Ue anche su un tema così delicato. Francia, Germania, Italia e Spagna hanno tutte lavorato negli ultimi anni per dare spinta al progetto, concretizzatosi in diversi strumenti: la Pesco, la revisione coordinata annuale (Card) e il suddetto fondo Edf, anticipato dai due programmi-pilota (Edidp e Padr). Definito il fondo, però, è già partita la corsa per accaparrarsi le sue risorse. Una competizione positiva, che potrà innescare un circolo virtuoso di investimenti, ma che lascia insoluto il problema strategico.

Per questo si punta a sfruttare la “lezione afgana”, che “rappresenta per l’Unione europea un nuovo monito a compiere l’auspicato salto di qualità nella sua dimensione difesa e nella gestione delle crisi”, ha detto il ministro Lorenzo Guerini (oggi al Pentagono). Anche perché la sconfitta in Afghanistan non è stata militare, ma politica, nel “nation building”, un ambito su cui l’Ue può dire la sua.

Il tema si lega all’evidente arretramento degli Stati Uniti su temi per loro di più diretto interesse (Asia-Pacifico su tutti). È noto da tempo, ma trova ora maggiore evidenza, accompagnato dalla richiesta chiara di Washington agli alleati europei di assumersi maggiori responsabilità nei teatri a loro vicini, a partire da Mediterraneo, nord Africa e Medio Oriente. Come spiega oggi su Formiche.net il generale Mario Arpino, l’Italia è pronta a rispondere alla richiesta. Il caso iracheno è emblematico, così come l’aumento dell’impegno in Sahel.

È soprattutto nei rapporti con gli Stati Uniti (e la Nato) che si colloca dunque il dibattito sulla “autonomia strategica europea”. Da anni si confrontano la visione radicale (transalpina) che la vorrebbe intesa come indipendenza, e quella moderata (italiana e tedesca) che la intende come “rafforzamento europeo dell’alleanza atlantica”. Da diversi anni, periodicamente, Emmanuel Macron rispolvera la proposta di “un vero esercito europeo”. Nell’occasione più recente è stato prontamente stoppato dalla presidente della Commissione Ursula von der Leyen: “L’Unione europea non sarà mai un’alleanza militare”, perché per quello c’è la Nato. Lo stesso Guerini ha spiegato che l’idea è quantomeno “romantica” e non centra la questione, che resta difatti politica e strategica. Sulla Stampa di oggi Giorgia Meloni offre una prospettiva simile: “Il punto non è l’esercito europeo; il tema è a cosa serva una difesa comune senza una politica estera comune”. Il semestre francese darà al dibattito la spinta auspicata. Ma verso dove?

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