Il mondo post pandemia svela ancor più la sua fragilità, nel disorientamento dell’identità e nella crisi delle relazioni e delle comunità. Insicurezze che si esprimono non solo in diffidenza, paura, mitizzazione di asseriti “complotti”, polemiche su green pass e piano vaccinale ma che fanno emergere violentemente le componenti sociali di odio, divisioni e rancore. Colpendo drammaticamente anche le donne. Una “pandemia ombra”, come definita dall’agenzia Onu per l’uguaglianza di genere UN Women
L’onda lunga di un’estate vissuta nel desiderio di normalità ha dilatato ancora progetti e rinviato decisioni, in bilico tra incertezze e paure.
Autunno, tempo di buoni propositi. C’è voglia di cambiamento ma s’intrecciano, nella realtà di tutti i giorni, rimpianto del passato e tensione verso nuovi orizzonti.
La politica è alla ricerca di identità progettuale, nel contesto dei serrati programmi del governo di larghe intese di Mario Draghi.
Bussola dell’azione è la ripresa dell’economia, anche sulla base dell’effetto stimato dai fondi destinati all’Italia dal Recovery plan (200 miliardi di euro). Stimata, nell’anno in corso, una crescita del Pil di circa il 6% mentre il deficit risulterebbe diminuito fino al 10%, dicono gli economisti. Il Paese guarda, quindi, ad un futuro migliore.
Un’energia di trasformazione della società che coinvolge anche la presenza femminile. Istituzioni e associazioni sono sempre più impegnate in una lotta condivisa che affila le sue armi mettendo in campo risorse e strumenti per un sistema integrato che miri ad un’effettiva parità di genere. Per abbattere stereotipi e pregiudizi ed estirpando le radici culturali della discriminazione.
Una priorità per la quale l’obiettivo del governo Draghi, annunciato al “Women political leaders summit 2021”, è investire, entro il 2026, almeno 7 miliardi di euro, con progetti di varia natura.
La parità di genere è una delle priorità trasversali del mondo. Una centralità anche del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) per rilanciare lo sviluppo nazionale, in seguito alla pandemia. Ed è affidata a una donna, l’economista Chiara Goretti, la responsabilità del coordinamento della Segreteria tecnica del Piano, con funzioni di supporto alle attività della Cabina di regia e del Tavolo permanente.
Un “Osservatorio sulla condizione femminile” è stato annunciato, nell’incontro di Assisi promosso dal Women 20, da Elvira Marasco, capo della delegazione italiana, anche “per raccogliere tutto il lavoro fatto dal W20 in questi anni”, “file, documenti e statement. Tutto questo lo vogliamo mettere a disposizione della società civile. Chiunque voglia vedere a che punto sono le condizioni femminili in un Paese del G20 deve avere la possibilità di poterlo consultare”.
Massima attenzione sui tavoli di gender equality alla differenza salariale e di ruolo anche da parte delle maggiori aziende italiane. Mentre i paradigmi dell’efficacia della leadership, secondo le più recenti analisi, sono fissati sempre più in flessibilità, creatività, empatia e passione. Caratteristiche valoriali “al femminile”.
Ma il mondo post pandemia svela ancor più la sua fragilità, nel disorientamento dell’identità e nella crisi delle relazioni e delle comunità. Insicurezze che si esprimono non solo in diffidenza, paura, mitizzazione di asseriti “complotti”, polemiche su green pass e piano vaccinale ma che fanno emergere violentemente le componenti sociali di odio, divisioni e rancore. Colpendo drammaticamente anche le donne.
Una “pandemia ombra”, come definita dall’agenzia Onu per l’uguaglianza di genere UN Women.
Violenza domestica, abusi fisici e psicologici, situazioni di pericolo alimentate dalla convivenza forzata causata dal virus si sono registrate in tutto il mondo.
Una violenza senza fine che interroga tutti, in attesa di celebrare il 25 novembre la “Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne”, ricordando, anche quest’anno, numeri drammatici, in Italia.
Secondo il report del Viminale, dei 199 delitti commessi nel 2021, fino al mese di settembre, 83 sono nei confronti di donne. Ogni tre giorni una donna è stata uccisa. In una sola settimana, nel mese di settembre, ben sette femminicidi. Nella maggior parte per mano di ex compagni, mariti ma anche sconosciuti.
La presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen ha annunciato, nel suo recente discorso sullo stato dell’Unione al Parlamento Ue: “Entro la fine dell’anno proporremo una norma per contrastare la violenza sulle donne. Si tratta della dignità di tutte e anche di giustizia. Questo corrisponde all’anima dell’Europa”.
Ma cosa c’è dietro questa violenza che sembra non avere fine?
Nella società che ha visto mutare, negli ultimi decenni, i paradigmi della famiglia e delle relazioni, la violenza è lo sbarramento nel difficile percorso di autodeterminazione delle donne. E mentre esprime gelosia, possesso e incapacità di accettare il rifiuto, il gesto più violento, il femminicidio, rappresenta l’esito estremo delle disuguaglianze di genere. È la violazione dei diritti umani.
È ancora un fenomeno in gran parte non emergente, la violenza subita dalle donne. Ha mille volti, è vissuta nella solitudine, nella sofferenza e nella paura. Disagi, fragilità e bisogni armano uomini che vivono nel mito della “forza virile” ma che, nell’epilogo di quella tragica illusione, svelano unicamente la propria debolezza e la frustrazione per non saper gestire, nella “sconfitta”, soprattutto se stessi. Mentre le donne, spesso, sperano di superare nel silenzio quel primo gesto di violenza e vanno avanti, nascondendo ferite, poi, non più sanabili.
La violenza si nutre di una visione maschilista della vita, di un sistema patriarcale in cui l’uomo pensa di poter “pretendere”, e nella distorsione di un asserito rapporto d’amore. E, poi, nell’Illusorietà di contatti via web, nell’accessibilità senza fisicità, corteggiamento, coinvolgimento e in cui prevale la dinamica del consumo, la violenza e il rancore sono protagonisti anche del sentire.
Nella mancanza di progettualità e di fiducia nelle relazioni, in un mondo disorientato dalla pandemia, cosa ci attende ora?
In equilibrio tra la necessità di distanza e la forza dei sentimenti, appare una sola certezza: è dalla qualità delle relazioni che dipende, da oltre due anni, la nostra vita. Rimedio per superare le difficoltà di una diversa socialità, per allontanare la paura e il baratro del vuoto e per vedere nuovi orizzonti, nella vita privata come in quella pubblica.
La pandemia è, così, la cartina di tornasole di ciò che si era, di ciò che è stato. E di ciò che sarà di noi?
Donne nella politica, “combattenti creative”, secondo una ricerca dell’Università di Bologna, con gli strumenti dell’ascolto e dell’empatia e l’attenzione ai più deboli. Donne economiste, giuriste, scienziate che affermano la propria competenza guardando alla centralità della persona umana.
Le donne del coraggio. Quelle “comuni” che non arretrano di fronte alla violenza di ogni giorno e la combattono Quelle che sono uccise perché la forza femminile spaventa ancora l’uomo. Sono anche quelle donne afghane immagini dell’umana disperazione che resistono e lottano con fierezza per continuare a scrivere la loro storia. Pazienti e determinate, protagoniste della società, sono esempio e voce di tutte le donne.
Le donne, testimoni, da sempre, di una cultura del cuore per l’umanità, nella fragilità universale di un destino comune, sono, dunque, simbolo di una dimensione da interpretare non più come “debolezza” ma come forza del mondo.
Una grande sfida del post pandemia. Rifondare, in fondo, una società per affermare un’autentica solidarietà e una diversa sensibilità, maschile e femminile, fatta di armonia tra corpo, mente e sentimenti. Guardando alle donne che accettano l’imperfezione e la sconfitta, per rinascere. È il vero cambiamento, la vera forza. Non ha “genere” ma ha mille certezze.