Skip to main content

Gas, gasdotti ed europei “sgasati”. La partita energetica spiegata da Nicolazzi

L’esperto manager: “O Gazprom sta smaltendo gli effetti di manutenzione straordinaria oppure, e sarebbe più preoccupante, ha deciso di difendere i prezzi più che difendere i volumi. Eastmed? Senza fondi Ue è temporaneamente morto e sepolto. Stiamo scommettendo alla cieca sul fatto che del gas si possa fare a meno in tempi ragionevolmente brevi. Mentre i consumi di petrolio sono più alti oggi che nel 2019 e il carbone è al record storico”

Conta più la variante delta che la crisi afgana nel dossier energetico, dice a Formiche.net Massimo Nicolazzi, manager con alle spalle una solida esperienza nel settore degli idrocarburi, (Eni e Lukoil), che analizza il trend in aumento dei costi energetici partendo da un punto: “Come retorica corrente sembra che siamo ancora al 1973, con lo spauracchio delle domeniche a piedi. Non è così. Eastmed? Senza fondi Ue è temporaneamente morto e sepolto”.

Lo avevamo scritto due mesi fa. Lo shock della pandemia ha nascosto un trend che ora si rivela pericoloso per imprese e cittadini: i costi energetici stanno emergendo come il problema numero uno. Petrolio greggio e gas naturale continuano ad aumentare e si mantengono entro l’area di massimo relativo raggiunta nelle scorse sessioni. I bilanci aziendali come reagiranno?

Dipende dalle aziende in questione. Certamente un’azienda energivora avrà un forte aggravio di costi, realtà meno energivore spalmeranno la commodity su una quota di spese dove tendenzialmente l’aumento o la diminuzione incide meno.

Nel frattempo, secondo alcuni rumors, Gazprom dovrebbe iniziare a spedire il gas attraverso la prima tappa del collegamento Nord Stream 2 verso la Germania il 1° ottobre, anche se la tempistica dei flussi effettivi nella rete del gas europea dipenderà ancora da una decisione del regolatore tedesco. Quale il ruolo del player russo?

Per ora osservo solo che Gazprom in una conferenza stampa ha annunciato che l’apertura del Nord Stream 2 non implica un aumento delle sue esportazioni di gas naturale in Europa, rispetto ai livelli correnti. Il rimbalzo c’è stato. In un mercato che sta diventando abbastanza corto, o Gazprom sta smaltendo gli effetti di manutenzione straordinaria oppure, e sarebbe per me più preoccupante, ha deciso che in queste condizioni può difendere i prezzi più che difendere i volumi e quindi contribuire, senza allargare l’offerta, a tenere alto il prezzo di cessione anziché conquistare una maggiore quota di mercato.

Le scorte di gas in Europa sono ai minimi dal 2013, ma l’Italia è messa meglio di altri, nonostante progetti come Tap, Tanap e Eastmed. Come mai?

Vedo due piani di riflessione. Sullo stoccaggio ricordo che per un’impresa commettere errori di valutazione significa compromettere l’anno termico dal punto di vista del marketing. Certamente esistono delle prescrizioni, ma spesso dimentichiamo che dal punto di vista delle imprese le coperture si possono fare anche comprando opzioni sui futures e non solo stoccando fisicamente. Tali decisioni, nei limiti dello stoccaggio obbligatorio, sono ad appannaggio delle imprese e non della politica. Poi c’è il secondo punto.

Ovvero?

Giusto o sbagliato che sia dal punto di vista della decarbonizzazione, mi sembra che in Europa stiamo facendo l’impossibile per aumentarci da soli il prezzo del gas. Ciò può andar bene per accelerare la sua sostituzione, ma nel breve periodo presenta alcuni contraccolpi. Porto due esempi. L’esclusione del gas dalla tassonomia vuole fondamentalmente dire che i nuovi progetti hanno difficoltà a reperire i finanziamenti. L’estensione di tale ragionamento ci dice che il vecchio progetto Eastmed, l’unica alternativa di ingresso di gas in Europa via tubo rispetto al panorama attuale, è temporaneamente morta e sepolta per mancanza di fondi Ue. Di fatto l’Ue ha staccato la spina rispetto ad aiuti ulteriori.

Con quale conseguenza?

Stiamo scommettendo alla cieca sul fatto che del gas si possa fare a meno in tempi ragionevolmente brevi. Mi sembra però che tutte le volte che il mercato asiatico si mette a tirare, ne vediamo qui i rimbalzi. Il prezzo ormai lo fa l’Asia e non l’Europa.

Opec+ e investitori: c’è aria di crisi di fiducia?

Non credo che gli investitori, non di settore, ritengano le decisioni di Opec+ un pezzo importante del loro ragionamento su come e dove investire. Non è un’oscillazione del 20 o 30% del prezzo del petrolio che ha conseguenze sulle economie mature. Vedo questo easing: noi continuiamo a fare proclami di speranza rispetto al superamento dei fossili, ma già oggi stiamo superando il consumo di petrolio del 2019. Inoltre nei primi sei mesi di quest’anno è vero che sono aumentate in percentuale le rinnovabili, ma è aumentato in volume assoluto il carbone che ha i suoi massimi storici dal punto di vista dell’impiego. Non stiamo facendo grossi passi in avanti.

Covid e crisi afgana quanto incideranno sul dossier energetico? Il gasdotto transcaspico (Tcp) e il Tapi (Turkmenistan-Afghanistan-Pakistan-India) stanno giocando un ruolo?

Attenzione, nel dossier energetico conta più la variante delta che la crisi afgana. A Kabul c’è una crisi sociale e umana di proporzioni inimmaginabili e l’energia c’entra poco. Sto leggendo e ho letto ricostruzioni fantasiose sull’importanza di Kabul nella storia della geopolitica petrolifera. Sembra a volte che si conservi la retorica del 1973 e delle domeniche a piedi. Oggi in realtà si riparla solo di farci passare un gasdotto che avrebbe come maggiore mercato naturale l’India, ma genererebbe revenues in forma di diritti di transito per il governo talebano. Non penso che al momento la prospettiva crei entusiasmo.


×

Iscriviti alla newsletter